04 Marzo 2014, 19:12
4 min di lettura
CATANIA – La mattina del 25 agosto 2011, data della scomparsa di Mariella Cimò, Salvatore Di Grazia alle 8 del mattino va in un negozio di Aci Sant’Antonio per acquistare un mastello, una vascha di oltre 250 litri che viene caricata in macchina e di cui i carabinieri non troveranno mai traccia all’interno della villa di Gravina di Catania. Un episodio cruciale nella ricostruzione dell’accusa, che oggi è stato oggetto di una parte consistente del dibattimento del processo per omicidio che si celebra davanti alla Corte d’Assise presieduta da Rosario Cuteri.
Interrogati i venditori del mastello. Il pm Angelo Busacca ha ripercorso lo strano “ritorno” di Salvatore Di Grazia all’esercizio commerciale che dopo aver comprato la vasca si ripresenta al negozio per cambiarla con una di dimensione più grandi. Il marito della Cimò, scontrino alla mano di 33 euro, acquistò un mastello più capiente. “Una differenza di almeno 40 centimetri” precisano i testi all’accusa. Una vasca che secondo le dichiarazioni dell’imputato serviva per fare il bagno ai cani, vera passione dellla moglie settantenne. “Visto il litigio con questo gesto volevo appianare le cose” raccontò agli investigatori Di Grazia all’avvio delle indagini, dopo la presentazione della denuncia (con diversi giorni di ritardo) della scomparsa. Anche se prima questo particolare era stato taciuto. Condotta, che secondo il Pm, avvalora ancora di più la “sua intenzione a nascondere elementi che avrebbero portato ad aggravare la sua posizione”. Per i due venditori, comunque, Di Grazia, difeso dall’avvocato Giuseppe Rapisarda, nel momento dell’acquisto “era calmo e non aveva assunto nessun comportamento anomalo”. A depositare il mastello nell’auto “a testa in giù nel portabagagli” – come dichiarato in aula – è stato un dipendente dei commercianti. Il Presidente Cuteri, nel corso del dibattimento, ha voluto porre un quesito ad uno dei venditore chiedendo se il mastello fosse stato acquistato quel giorno o vi fosse stata una prenotazione precedente. “No – ha spiegato alla Corte – le vasche erano esposte e pronte per la vendita e Di Grazia lo ha acquistato quella mattina”.
Quel mastello, come detto, non è mai stato ritrovato. “E’ stato mangiato dai cani – ha dichiarato l’imputato – che lo hanno distrutto”. Busacca ha riportato l’attenzione sul fatto che nella villa erano presenti altre vasche ancora integre e si pone l’interrogativo di come mai proprio quel recipiente fosse stato bersaglio dei morsi degli animali. Coincidenza? Non ci sono prove specifiche su quale uso Di Grazia abbia fatto della vasca comprata quella fatidica mattina d’agosto. Solo deduzioni. Il Pm ha fatto acquisire negli atti del procedimento anche un filmato mandato in onda su Rete 4 dove i cani entrano in una vasca simile a quella solo quando vi è messo un barattolo dentro. Un particolare per evidenziare – da parte dell’accusa – che per gli animali domestici il mastello non era un ambiente così familiare. Alle domande dell’accusa sono seguite quelle dei difensori e degli avvocati delle parti civili che hanno cercato di tracciare “lo stato d’animo” dell’imputato quella mattina, per capire se era stato percepito qualcosa di “anomalo”. Anche perchè nella ricostruzione della Procura già Di Grazia a quell’ora avrebbe commesso il feroce omicidio, nato al culmine di una lite scoppiata a causa della gelosia di Mariella Cimò che lo accusava delle sue “particolari” frequentazioni all’autolavaggio, cointestato, e che per questo ne chiedeva l’immediata chiusura. Per favoreggiamento è indagata Pina Grasso, la domestica della coppia.
Sul banco dei testimoni anche il giardiniere della famiglia La Ferlita, i vicini di casa dei Di Grazia. Da quella casa partono segnali importanti: come i filmati che registrano il via vai di vetture quel 25 agosto 2011 e il racconto della domestica rumena che ha sentito le grida della Cimò quel giorno che proverebbe il litigio, fatto questo che ha ammesso anche l’imputato. Il giardiniere racconta, anche se con fatica, che nel periodo coincidente con la scomparsa di Mariella Cimò, con se lavoravano altri due rumeni, un uomo e una donna. Per il pm Angelo Busacca uno dei due altri non è che la domestica de La Ferlita, per la difesa invece questa dichiarazione sarebbe un elemento nuovo ed importante per la ricostruzione dei fatti. La colf era stata chiamata a testimoniare come teste dell’accusa, ma il pm ha presentato alla Corte una relazione dei carabinieri che attesta l’irrintranciabilità della donna. Quest’ultima non è in servizio nella casa di Gravina di Catania da un po’ di tempo, ai militari aveva lasciato un cellulare che risulta sempre irriperibile. Per questo sono state acquisite le dichiarazioni rese agli inquirenti in fase di indagine.
La nuova udienza del processo è stata fissata per il prossimo 28 aprile. Ad essere interrogate saranno due donne: la segretaria del medico di famiglia e una frequentatrice assidua dell’autolavaggio di Aci Sant’Antonio. Quell’attività che secondo l’accusa Di Grazia utilizzava per le sue “amicizie femminili” e che avrebbe scatenato la “lite finita” poi in delitto. Un omicidio, questo, senza cadavere. Il corpo di Mariella Cimò non è stato mai ritrovato.
Pubblicato il
04 Marzo 2014, 19:12