05 Novembre 2020, 19:37
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PALERMO – Una doccia fredda annunciata, che oggi è stata resa ufficiale: la prova scritta dell’esame di abilitazione forense non si farà il 15 dicembre. Lo ha comunicato oggi su Facebook il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, a poco più di un mese dal test. Si tratta di una delle conseguenze dell’ultimo Dpcm, che prevede la sospensione e il rinvio dei concorsi pubblici e degli esami di abilitazione alle professioni fino al 3 dicembre. Tanta la frustrazione fra i circa millecinquecento praticanti avvocati di Palermo, parte dei ventimila in tutta Italia: c’è la consapevolezza di dover evitare categoricamente gli assembramenti, ma l’incertezza sulle date complica un percorso definito già a dir poco tortuoso.
Nel post sulla propria pagina ufficiale, Bonafede scrive: “Per cercare di ridurre i tempi della procedura, il Ministero, confrontandosi con gli altri interlocutori coinvolti, sta già lavorando a tutte le soluzioni organizzative che possano consentire di accelerare la correzione delle prove scritte e diminuire quanto più possibile gli effetti di questo rinvio. A breve indicheremo la nuova data dell’esame: al momento, sembra ragionevole ipotizzare che la prova si possa tenere nella primavera del 2021”. Poi il ministro specifica che “per coloro che hanno superato gli scritti svolti nel 2019, invece, le prove orali proseguiranno perché è possibile, al momento, implementare modalità che garantiscano la sicurezza e la salute dei candidati e dei membri delle commissioni”.
La notizia “tuona più per la mancanza di precisione che per il rinvio delle prove in sé – ribatte l’associazione di praticanti A.pra-Palermo – che mai, fino a oggi, avevano subito un posticipo. La discussione verte non tanto sul rispetto dei divieti di assembramenti per contenere l’emergenza, ma sulla possibilità che questo rinvio si sarebbe potuto evitare”. Secondo l’associazione ciò sarebbe potuto avvenire “grazie a un comportamento più responsabile da parte del governo, che ha avuto tutto il tempo di prevedere l’impossibilità di assembramento di ventimila praticanti avvocati. Avrebbe potuto organizzare con largo anticipo le modalità delle prove scritte, per esempio attraverso la delocalizzazione, utilizzando le diverse sedi presenti nel foro di appartenenza”.
L’esame quindi si allontana, mettendo in difficoltà chi è già inserito in un percorso lavorativo. Come ‘Dario’, nome di fantasia, che racconta: “Lo studio professionale presso cui ho svolto la pratica forense, riconoscendo i sacrifici e la preparazione che ho potuto dimostrare in questi due anni, ha deciso di assumermi una volta acquisito il titolo di avvocato. Un sogno, che riconosco essere anche una rarità, ma che sarò costretto a posticipare non so a quando. Con la probabilità di rinunciarvi nel caso i tempi dovessero prolungarsi eccessivamente, viste le spese legate alla vita del praticante”.
Qualcun altro invece ‘risponde’ a Bonafede dove tutto è nato, su Facebook: “Mentre il ministro dell’Università Manfredi rende le lauree abilitanti, mentre cambiano le modalità per accedere alle varie professioni, il futuro degli aspiranti avvocati è ancora una volta un gigantesco punto interrogativo”. A scrivere è Giulia Lo Giudice, praticante avvocato di Palermo che vive e lavora a Milano, nel manifestare il disappunto per il rinvio “nonostante anni di lotte e di voci rimaste inascoltate. A rendere complicato l’accesso al mondo lavorativo non bastavano cinque anni, diciotto mesi di praticantato obbligatorio, un esame che consta di tre prove scritte e una prova orale che, se tutto va bene, sostieni a distanza di quasi un anno. Una sola data, ogni anno. Se vai bene sei fortunato, altrimenti ritenta l’anno prossimo”.
Lo Giudice ha le idee chiare sulle responsabilità: “Pur nella consapevolezza che l’emergenza sanitaria non sarebbe stata sconfessata entro dicembre – scrive – piuttosto che modificare le prove selettive pare sia più comodo rimandare l’esame di stato ‘a futura data da destinarsi’. Allora chiedo, caro signor ministro, la definizione specifica di una simile affermazione. Se la crisi epidemiologica nella quale attualmente versiamo non dovesse essere terminata ‘nella primavera del 2021’, periodo ipotizzabile da lei individuato per il nuovo esame, vorrei sapere se devo già iniziare a pensare di arrivare a trent’anni senza ancora avere il titolo che meritiamo”.
“Ormai noi praticanti avvocati non ci sorprendiamo più delle modalità con cui si affronta il tema dell’esame di abilitazione – commenta Giuseppe Marinaro, presidente di A.Pra-Palermo –. A partire dal modo con cui è stata data l’ufficialità del rinvio a data da destinarsi, per finire con altre mancate specificazioni: sia delle date in cui si svolgeranno gli esami, sia, soprattutto, delle tempistiche legate alla correzione degli elaborati. La tutela della salute dei candidati e delle rispettive famiglie è necessaria – sottolinea Marinaro – ma chiediamo con forza un maggior impegno da parte del ministro della Giustizia”.
Secondo il presidente dell’associazione, alcune fra le soluzioni sarebbero semplici e intuitive : “Per esempio prevedere commissioni d’esame più numerose, così da correggere gli elaborati e svolgere le prove orali con maggiore fluidità. In questo modo eviterebbe il rischio di stravolgere anche la sessione di dicembre 2021. Infatti è certamente da scongiurare il cosiddetto ‘esame cautelativo’: se a causa dei ritardi non si arrivasse a conoscere l’esito della prova, i candidati si troverebbero costretti a sostenerla una seconda volta nella sessione successiva. Insomma, piccole grandi correzioni – conclude Marinaro – sperando che presto arrivi una riforma in grado di coniugare diritto di accesso al lavoro e prestigio della professione. La pratica abilitante rimane un’utopia, ma noi praticanti avvocati ci speriamo ancora”.
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05 Novembre 2020, 19:37