18 Marzo 2022, 05:12
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PALERMO – Gaetano Tafuri non ci sta a passare per l’uomo che avrebbe fatto carte false affinché venisse nominato un revisore contabile “amico” all’interno dell’Ast, di cui è stato presidente fino a pochi mesi fa prima di essere sostituito.
Un amico che sarebbe stato individuato nel commercialista Felice Genovese con l’obiettivo, secondo la Procura di Palermo, di chiudere gli occhi sulle irregolarità nei bilanci dell’Azienda siciliana trasporti. E così la nomina del revisore sarebbe stata decisa a tavolino, escludendo in maniera pretestuosa un altro candidato.
Tafuri nei giorni scorsi è stato coinvolto nella stessa inchiesta costata gli arresti domiciliari all’ex direttore generale Andrea Ugo Fiduccia. Tafuri è stato sospeso per un anno dalla possibilità di ricoprire cariche pubbliche.
Nel corso dell’interrogatorio di garanzia reso davanti al giudice per le indagini preliminari Marco Gaeta, alla presenza del pubblico ministero Andrea Fusco e del legale di Tafuri, l’avvocato Rapisardi, l’ex presidente tira in ballo la figura di Antonello Montante, l’ex potente presidente di Confindustria Sicilia travolto dalle inchieste e dai processi, per dare prova della sua rettitudine.
“Il signor Lo Bosco fece di tutto per buttarmi fuori perché io aprii il caso Montante di cui hanno parlato tutti i giornali e scrisse a Crocetta (Rosario Crocetta, ex presidente della Regione) dicendo che… era una truffa – mette a verbale Tafuri -. Dopodiché fui nominato… lo stesso Crocetta nominò un altro consiglio di amministrazione. Lei pensa che potevo avere interesse a coprire ciò che non avevo fatto io? Sono consapevole dei rischi dell’attività che fa un amministratore, ma sono anche consapevole del fatto che una cosa è un errore amministrativo, una cosa è uno strafalcione in buona fede, una cosa è artatamente creare le condizioni per creare un falso o per destabilizzare un’azienda- aggiunge -. Pensa che vi sia un interesse particolare perché dall’ignoranza o dalla delinquenza si passerebbe alla stupidità, forse sono delinquente ma non sono stupido e nemmeno mi ritengo delinquente”.
Il passaggio dell’interrogatorio di Tafuri riporta indietro l’orologio al 2019 quando fu messa in liquidazione la “Jonica trasporti e turismo”, la società al 51% di Ast e per il restante 49% di Msa del gruppo Montante. Azienda che curava il servizio di autobus nella fascia jonica messinese. Attraverso la Jonica Montante tentò la scalata di Ast, allora presieduta da Dario Lo Bosco.
“Avevo toccato fili ad alta tensione”, disse Tafuri in alcune interviste e per questo era certo di avere pagato il conto con la sua cacciata. Successivamente fu richiamato. Era cambiato il governatore, divenuto Nello Musumeci. Sulla vicenda però arriva la replica di Montante: “Querelo Tafuri”, dice attraverso il suo legale.
Tafuri rivendica il lavoro svolto in Ast. In particolare il risanamento economico avvenuto sotto la sua presidenza. E prende le distanze dalla politica che, così è emerso dalle indagini dei finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria, coordinate dal procuratore aggiunto Sergio Demontis, avrebbe controllato una fetta delle assunzioni tramite un’agenzia interinale.
Tafuri prende le distanze dal sistema delle raccomandazioni, dice di avere scritto alla Regione affinché facesse “un pubblico concorso, non la voglio nominare io la commissione, nominatela da Bruxelles, fate venire i marziani, però noi non possiamo continuare con questo scandalo delle assunzioni degli interinali”.
Al vice presidente Eusebio Dalì avrebbe detto che “non è più sopportabile questa ingerenza e il tentativo della politica di volere fare pressioni sulle assunzioni”. Tafurì per, così dice, non ha ceduto: “… perché mi chiamavano, ah senta… no, io dico di no”.
Ed ecco un passaggio delicato dell’interrogatorio, una sorta di invito rivolto al pm: “Se mi volesse, non in questa sede, sentire, io sono a sua disposizione. Poi ad un certo punto si sono scocciati tutti, perché io dicevo sempre di no, perché gli dicevo sempre di no e mi sono lamentato di questo fatto… mi sono lamentato con Dalì del fatto che non potevo più sopportare delle pressioni da parte della politica per le assunzioni di soggetti interinali”.
E ribadisce il concetto alla fine del verbale: “Ho avuto pressioni dai politici? Sì, le ho avute, e poi mi sono aperto al pubblico ministero di essere collaborativo, non in questa sede perché apriremmo un capitolo troppo largo, proprio perché non mi sento di voler nascondere nulla, ma vi prego, lì c’è un asset
veramente molto molto importante e per me… è interesse di questa società, che abbiamo cercato di rimettere in sesto”.
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18 Marzo 2022, 05:12