01 Marzo 2015, 19:42
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Basta un pomeriggio di tv del dolore per ritrovarsi a bruciare nel fuoco dell’inferno. Nel salotto domenicale di Barbara D’Urso e dei suoi occhioni luccicanti, si parla del caso di Nicole, la neonata di Catania morta in ambulanza – così riportano le cronache – alla ricerca di un posto in ospedale. Ci sono i genitori: Andrea e Tania. C’è Barbara con le sue celebri pupille cangianti che compongono la ragione sociale della fabbrica delle lacrime. C’è Beatrice Lorenzin, ministro della Salute, in collegamento. Non c’è Rosario Crocetta, governatore di Trinacria. Non c’è Lucia Borsellino, assessore regionale alla Salute.
Dice, in sintesi, il ministro al padre e alla madre di Nicole: ‘Farò quanto in mio potere per arrivare alla verità. E se la Regione Sicilia non farà le cose che vanno fatte le farò io’. Nessun riferimento a Lucia. Nessun accenno a Rosario. Lorenzin parla in prima persona. Avoca a sé e solo a sé la necessità e la capacità di fare chiarezza e di fare le cose che la Regione non vuole o non sa. Il primo girone dell’inferno è dunque l’irrilevanza della Sanità siciliana che non viene mai chiamata in causa nemmeno come comprimaria del bisogno di saperne di più. Lucia Borsellino e Rosario Crocetta – a contorno della tragica vicenda – non esistono, nessuno li nomina.
Del resto qual è stato fin qui il loro ruolo? Il presidente si è limitato a una rabbiosa difesa d’ufficio dell’assessore, alimentando il solito clima di caccia alle streghe. L’assessore ha preferito trincerarsi nello stucchevole ritornello del “mi-dimetto-ma-forse-no”. Troppo poco per sanare una ferita che sanguina ogni giorno. L’irrilevanza è perciò il marchio infuocato di questo girone dantesco che brucia sulle carni di ogni siciliano, di chiunque abbia vissuto come un trauma la triste storia di Nicole.
Il secondo girone ha le forme della pena che non trova requie. Si riascoltano le telefonate di quella notte. Andrea e Tania raccontano la loro versione dei fatti: che pone domande degne di approfondimenti e di risposte (perché al papà non è stato concesso di salire in ambulanza? Perché si sarebbe perso tempo?). Si narra la sofferenza di due persone a cui nessuno ancora ha spiegato come mai hanno perso la figlia. Tutto questo soffrire si sdoppia. Si moltiplica per le biografie dei tanti che ogni giorno sperimentano le mortificazioni di un andazzo sanitario regionale che – nelle sue concatenazioni tra pubblico e privato – non funziona, se non per i privilegiati, per coloro che possono alzare la cornetta e comporre il numero giusto, per l’aristocrazia del soccorso.
Il dolore morde negli sviluppi di quella immane perdita – che attende un quadro di responsabilità specifiche -. Si spalma nella valutazione pessima che i siciliani hanno del livello d’assistenza a cui sono destinati. Gli ospedali stracolmi, dove valorosi medici e infermieri operano in condizioni estreme. Gli scandali che spuntano con cadenza quotidiana. L’incapacità politico-amministrativa di rovesciare un circolo vizioso di omissioni e disagi. La Sanità siciliana si manifesta come fiamma che arde sulla pelle degli sventurati che non hanno la fortuna di essere nati a Belluno.
Il terzo girone infernale ha un ingresso da luna park che conduce dritti nell’industria del dolore. Da Loris a Nicole, il copione di Barbara D’Urso non muta. Si va a caccia dello strazio grezzo da dolcificare e rivendere in lattina. Si cerca il ciglio tremolante di Carmen, nonna del bimbo massacrato a Santa Camerina; e adesso il cuore spezzato di una mamma. Barbara stessa esibisce il tremolio del ciglio, la vocina, la boccuccia partecipativa. Un orribile show. Occorre una scenografia che imiti i luoghi della vita – dal tribunale, al cimitero, all’ospedale – per fingere proprio la vita, in uno stordimento di impulsi che aumenti la confusione.
Non c’è cautela, non c’è verità. C’è solo il luna park col suo scintillio. Ma dietro – una volta passato l’ingresso – è ancora inferno, nel rogo che incenerisce gli ultimi fili di umanità.
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01 Marzo 2015, 19:42