Cronaca

Biagio e Giuditta: vittime di mafia, ‘ombre’ per l’antimafia dei perbenisti

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25 Novembre 2024, 06:10

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Trentanove anni dopo l’incidente del liceo Meli, il 25 novembre del 1985, rimane cara e indimenticabile la memoria di Biagio Siciliano e Maria Giuditta Milella, gli studenti che non sopravvissero.

Chi è nato negli anni successivi ha scontato il paradosso che separa i sentimenti della cronaca dalla freddezza che può caratterizzare la storia. Se c’eri, da contemporaneo, mai potrai dimenticare. Chi non c’era, arduamente, ricostruisce.

Biagio e Giuditta morirono, falciati da un’auto di scorta ai giudici Paolo Borsellino e Leonardo Guarnotta che investì i ragazzi alla fermata del ‘Meli’. Biagio Siciliano chiuse gli occhi subito. Maria Giuditta Milella qualche giorno dopo.

I genitori – Carlo e Francesca Milella, Nicola e Maria Stella Siciliano – li hanno già rivisti, secondo il registro della speranza che accompagna le dipartite terrene.

Biagio e Giuditta sono vittime di mafia. Vite innocenti, distrutte dal clima di guerra che, in quegli anni, contrapponeva i buoni – i giudici, le forze dell’ordine, una parte della società civile – e i cattivi delle cosche – i boss, la soldataglia – responsabili di violenze efferate, in un periodo di tensione che rendeva necessarie misure di sicurezza eccezionali. Da quel contesto emergenziale sgorgò l’incidente del liceo Meli.

L’antimafia perbenista

Biagio e Giuditta sono pure ‘ombre’ per certa antimafia perbenista che non è mai riuscita a superare un cortocircuito mentale, legato alla circostanza di un fatto dolorosissimo, provocato direttamente e accidentalmente da chi militava nel campo giusto.

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Quell’antimafia perbenista, non sapendo quali pesci fosse conveniente prendere, negli anni – prigioniera di calcoli e fisime – ha spesso silenziato le sembianze di due ragazzi, sotto una coltre di indifferenza, come se la loro sorte potesse, in un drammatico rimando di riflessi, macchiare la reputazione di personaggi meritevoli soltanto di affettuosa riconoscenza.

Non c’è mai stata una esclusione plateale, né avrebbe potuto esserci. Tuttavia, negli anni, abbiamo avvertito una lontananza, una distrazione, una sottovalutazione, perfino una minore ridondanza nell’enfasi collettiva della storia, quasi non appartenesse alla memoria dei martiri di Palermo.

“Sì, Biagio e Giuditta sono stati dimenticati, perché vittime collaterali, complesse da definire per qualcuno – dice Mari Albanese, scrittrice e impegnata politicamente con il Pd -. In questi ultimi tempi è cresciuto l’impegno per ricordarli”.

“La contraddizione era forte – dice Costantino Visconti, rappresentante del ‘Meli’ all’epoca, oggi professore universitario -. Gli studenti avevano organizzato delle manifestazioni di sostegno ai giudici per il maxi-processo. La responsabilità era della mafia, ma vedere coinvolti i nostri eroi in una tragedia atroce era davvero troppo. Riuscimmo a dare una prova di grande responsabilità, distinguendo i veri colpevoli da tutte le vittime coinvolte, additando i mafiosi. Nel 1985 non era ancora di moda stare al fianco dei giudici e non volevamo che la borghesia mafiosa ne approfittasse”

Vittime innocenti

Biagio e Giuditta morirono da vittime innocenti e sono martiri. Altrettanto innocenti e vittime – in modo differente dello stesso episodio – furono i giudici Guarnotta e Borsellino, destinati a convivere con un’acuta sofferenza per l’accaduto.

Leonardo Guarnotta, qualche anno fa, ha abbracciato il fratello di Biagio, Vincenzo, in un incontro pubblico. Paolo Borsellino, assassinato in via D’Amelio, con la sua scorta, sette anni dopo quel tremendo 1985, non ha avuto il tempo. Pure quell’abbraccio gli è stato negato.

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25 Novembre 2024, 06:10

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