Enzo Bianco e Salvo Pogliese |Scontro tra due generazioni

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13 Giugno 2018, 18:56

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CATANIA – Cambio della guardia a Palazzo degli Elefanti. Enzo Bianco smette la fascia tricolore e la consegna nelle mani di Salvo Pogliese. Il giovane. Sessantasette anni il primo, quarantasei il secondo. In mezzo ventuno primavere. Primavere, sì. Perché le ere in politica – almeno in Sicilia – si scandiscono così. Dal 1993 sicuramente, da quando cioè Leoluca Orlando e appunto Enzo Bianco divennero rispettivamente primi cittadini di Palermo e Catania. Erano gli anni delle stragi di mafia, gli anni delle prime elezione diretta di sindaci e presidenti delle Province (che intanto non ci sono più). La voglia di cambiare era tanta, tantissima. Salvo Pogliese allora militava nel Fronte della Gioventù e attaccava i manifesti per Paolo Borsellino. E mentre Bianco saliva alla ribalta della politica nazionale diventando addirittura ministro dell’Interno, il neosindaco muoveva i primi passi di un’ascesa politica sempre in discesa tra l’università e il consiglio comunale.

I ragazzi crescono. Dentro lo scontro tra Enzo Bianco e Pogliese c’era e c’è tanto altro. Non solo la disputa infinita tra due visioni diametralmente opposte della politica ma sempre in paio tra loro – centrodestra e centrosinistra. Ma due immagini opposte della città e dell’essere cittadini di Catania. Partiamo da qui, perché Pogliese sotto il Vulcano c’è nato – a differenza dei suoi predecessori. La sua elezione interrompe la lunga catena di sindaci “stranieri”. Quelli venuti da Napoli, Aidone e Regalbuto. Per quel che vale, Catania torna ad aver “un’autoctono” e tifoso peraltro di quel Calcio Catania che – proprio la sera del voto amministrativo – ha visto svanire il sogno di tornare in Serie B passando dai playoff.

Rossoazzurri sì, rossoazzurri no. Qui la differenza c’è e pesa eccome tra i due. Tra gli scongiuri e un pizzico di cialtroneria, si dice che Enzo Bianco non porti bene al Catania. Con lui sindaco, in effetti, sono state scritte la pagine peggiori del club tra retrocessioni e disastri giudiziari. Quando nel 1993 il team di Angelo Massimino subì il tentativo di radiazione, la Primavera era ancora agli inizi. Ma non solo: il profilo dell’allora primo cittadino di benedire l’ingresso in città dell’Atletico (Leonzio) di Franco Proto scavò un solco profondo nella coscienza etnea. Pogliese allora era in curva, tra gli “Indians”, fedele ai colori di sempre e alla memoria di quel presidente vittima prematura di un incidente stradale sulla A19. La risalita del Catania fino alla Serie A segnò la maturazione di una generazione che aveva ancora molto da dire ai propri padri e al resto del Paese.

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La “Primavera” però c’è stata. Moralmente, socialmente e mediaticamente. Bianco l’ha interpretata portando Catania all’attenzione nazionale. Non è soltanto una questione di fioriere e polemiche annesse. Qualcosa di nuovo accadde tant’è che tra il prima e il dopo resta una differenza siderale. Ma il tempo passa e forse le ricette che il sindaco dem ha riproposto per il capoluogo etneo negli ultimi cinque anni (visite di capi di Stato, governo e first lady, etc…) hanno sancito una divaricazione generazionale, un’incomprensione, uno scarto temporale. La cosmesi propria degli anni Novanta evidentemente non ha accontentato i più, costretti a fare i conti con gli strascichi della Crisi. Al di là dei giudizi di merito – lo dicono le percentuali – Pogliese ha intercettato delle istanze differenti ed estese rispetto al bianchismo storico.

Oltre la sfida Bianco versus Pogliese, ci sono però anche altri interpreti da annoverare. Fino a prova contraria, la sfida per Palazzo degli Elefanti non era a due, ma a cinque. Una partita articolata dove il sindaco uscente, al netto di ogni analisi, ha recitato il ruolo non tanto dell’usato sicuro, ma del decano. I numeri parlano chiaro: Emiliano Abramo è un trentenne, Riccardo Pellegrino pure. Giovanni Grasso, invece, benché maturo, rappresenta una forza politica, il Movimento cinque stelle, che della rottura generazionale con le grandi tradizioni politiche italiane ed europee, ne ha fatto un marchio identificativo.

Insomma, una certa voglia di cambiare pagina era già nelle premesse del voto del 10 giugno. Stando alla data nella carta d’identità, Salvo Pogliese può rappresentare quel cambio di passo anagrafico utile alle aspirazioni della comunità catanese. Sta ora a lui – e solo a lui – decidere se fare il sindaco seguendo liturgie politiche trite e ritrite o se inserire la marcia di un nuovismo vero ed efficace.

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13 Giugno 2018, 18:56

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