Cronaca

Borgo, lo scontro e la “testa”: ora c’è un nuovo capo a Porta Nuova

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14 Ottobre 2020, 12:23

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PALERMO – C’è un nuovo capo a Porta Nuova. Era scoppiata una lite furibonda al Borgo Vecchio. Qualcuno pensava di chiedere l’intervento della “testa”. La “testa” era ed è il capo del mandamento mafioso di Porta Nuova di cui la famiglia di Borgo Vecchio è parte integrante.

Il blitz dei carabinieri con i venti fermi disposti ieri dalla Procura Repubblica di Palermo mette al centro delle indagini una nuova figura, qualcuno che ha preso il posto che fino a dicembre 2018 è stato di Gregorio Di Giovanni, il reuccio di Porta Nuova.

C’era Di Giovanni alla nuova cupola di Cosa Nostra, convocata nel maggio 2018 da Settimo Mineo, anziano boss di Pagliarelli. Ora chi comanda a Porta Nuova?

La lite coinvolse i fratelli Massimiliano Jari, Daniele e Gabriele Ingarao da una parte e i fratelli Angelo e Girolamo Monti dall’altra. Secondo l’accusa, Angelo Monti sarebbe l’ultimo capomafia di Borgo Vecchio, mentre Jari uno dei suoi uomini più fidati.

Sono zio e nipote perché la moglie di Monti è sorella della mamma di Ingarao, a sua volta figlio del reggente di Porta Nuova, Nicola Ingaro, ammazzato nel 207 dai Lo Lo Piccolo di San Lorenzo. Le condanne sono ormai definitive.

Sono parenti eppure arrivarono ai ferri corti per una questione di soldi. Un affare della droga era risultato meno redditizio del previsto e Danilo Ingarao aveva contratto un debito, mai onorato. E così quando Monti fece avere alla madre di Ingarao i soldi che le vengono dati per vivere decurtò la somma del debito che il capomafia aveva pagato al posto del figlio Danilo.

“Io a te ti dovevo levare pure gennaio, ti dovevo levare… ti dovevo levare duemila euro… io non te li ho levati duemila euro. Io ti ho levato mille e cinque”, diceva Angelo Monti alla cognata.

E scoppiò il putiferio. Monti accusava la madre degli Ingarao di non avere saputo educare i figli, colpevoli di avere ripetuto gli errori del padre Nicola, che prima di essere “messo da parte” e ucciso si era indebitato.

“Aspè, c’è qua lo zio Angelo. Ti chiamo dopo…”, disse Jari al fratello Danilo un pomeriggio dello scorso febbraio. Angelo Monti era andato a casa del nipote per discutere la faccenda.

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“Piano Angelo. Piano”, diceva la madre di Ingarao al cognato mentre prendeva a schiaffi il figlio. “Ringrazia che sei mio zio perché ti spaccavo nel mezzo”, rispondeva Jari Ingarao, che poi spiegava al telefono al fratello: “Danì, è venuto lo zio Angelo con quel cornuto… con quel becco di suo fratello… sono venuti là dentro… fuori nel balco… ci siamo messi nel terrazzo… ha preso… mi ha dato, tipo, due boffe in faccia… mi ha spinto… gli ho detto io: dimenticati che sono tuo nipo… se a mio zio gli devo spaccare… ora andatevene. Andatevene. Andatevene”.

Ed è nei giorni successivi che Jari Ingarao pensò di chiedere l’intervento dell’attuale reggente del mandamento di Porta Nuova. Ne parlò con Vincenzo Fiore, che sarebbe stato arrestato nei mesi successivi, a giugno scorso.

Ed ecco il chiaro riferimento alla presenza di un capo a Porta Nuova a cui rivolgersi per le questioni più delicate. “E io me ne vado proprio alla testa… e che fa… e buca… a discorso… buca… a discorso… come hanno bucato sempre…”, spiegava Jari Ingarao. Fiore la pensava diversamente: “Tu sei convinto che la testa si immischia in un discorso di questo?”.

Chi comanda oggi a Porta Nuova, il regno che fu di Pippo Calò e di Tommaso Buscetta? Sino al 16 dicembre 2008 il reggente del mandamento è stato Tommaso Lo Presti, seguito da Gaetano Lo Presti, arrestato nel dicembre di quell’anno e morto suicida in carcere. (Leggi: “Lo Presti, saga di mafia a Porta Nuova”)

Sino alla metà del 2010 la reggenza fu mantenuta da Gregorio Di Giovanni (arrestato nell’operazione Eleio) e dopo la breve gestione di Calogero Lo Presti – durata sino a settembre 2010 – venne affidata a Tommaso Di Giovanni, detto Masino, fratello di Gregorio, arrestato nel dicembre 2011. Quindi il ruolo di capo a Porta Nuova passò ad Alessandro D’Ambrogio e dopo il suo arresto a Giuseppe Di Giacomo, assassinato nel 2014. L’omicidio segnò il ritorno al comando dei Lo Presti, infine colpiti da un nuovo blitz nel 2014. La scarcerazione di Gregorio Di Giovanni aveva rimesso a posto gli equilibri. Fino al blitz “Nuova cupola” del 2018.

E ora chi è il nuovo capo del mandamenti di Porta Nuova? Sul campo si sono volti nuovi e becchie conoscenze. Come Calogero Lo Presti, che tutti a Porta Nuova chiamano zio Pietro. Da qui il nome “Pedro” dato nel 2011 all’operazione che descrisse il suo ruolo di leader.

Lo Presti aveva come base operativa una stalla al civico 3 di via Antonino della Rovere, nella zona di via Colonna Rotta. Qui, come hanno ricostruito i carabinieri del Nucleo investigativo, impartiva ordini e affiliava i nuovi uomini d’onore.

Nel mandamento dove è tornato libero anche Massimo Mulè, con la Cassazione che ha annullato l’arresto nel blitz di dicembre 2018. Secondo l’accusa, che si basa sulle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, Mulè guiderebbe la famiglia mafiosa del rione Ballarò. I pentiti hanno detto che il posto di comando, una volta finiti di scontare i sei anni di carcere per una precedente condanna, gli spettava di diritto. Il Riesame e la Cassazione invece non hanno ravvisato fatti nuovi rispetto a quelli per i quali Mulè è già stato condannato. Senza attualità non si poteva emettere una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere. Che il sia lui il capo, però, la Procura continua a sostenerlo.

E poi ci sono personaggi finora rimasti defilati, ma che adesso si fanno largo forti di parentele importanti. Di sicuro c’è un nuovo capo a Porta Nuova.

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14 Ottobre 2020, 12:23

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