Cronaca

Borsellino, il legale Trizzino: “Uno dei più gravi depistaggi della storia”

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23 Aprile 2024, 16:53

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CALTANISSETTA – “Mi associo ai sentiti, e non solo doverosi, ringraziamenti per come si è svolto il processo in secondo grado. Vorrei dare voce in questa sede al dottore Paolo Borsellino oltre che alle parti che rappresento. Perché tra i tanti frutti avvelenati di quello che è stato definito uno dei più gravi depistaggi della storia italiana vi è la verità della menzogna. Agevolata dalla sconcertante superficialità di tutti i magistrati della Procura allora guidata da Giovanni Tinebra“.

Lo ha detto l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli di Paolo Borsellino, Lucia, Manfredi e Fiammetta, parti civili nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio in corso a Caltanissetta dinanzi alla corte d’Appello. Nel processo sono imputati Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, poliziotti appartenenti all’ex gruppo di indagine Falcone- Borsellino guidato da Arnaldo La Barbera.

Le parole di Trizzino

“Questi magistrati – ha continuato Trizzino – hanno abdicato alla loro funzione di controllo e di vigilanza sull’operato degli investigatori lasciati liberi di scorrazzare nel campo della illegalità. Facendo macerie dei protocolli investigativi, della legge e della dignità delle persone che hanno sfortunatamente incrociato il loro percorso. Mi riferisco a coloro che hanno fatto il carcere ingiustamente ma anche a quei poveri disgraziati di tre collaboratori”.

“Le condotte dei pubblici ministeri – aggiunge ancora – si collocano al di fuori dell’errore fisiologico ma semmai esprimono il corto circuito di un sistema, lo sfacelo di un sistema, con effetti devastanti sul piano dell’immagine di un ordine giudiziario che non meritava tutto questo. E di cui il dottore Borsellino era uno dei più importanti esponenti. Quello stesso ordine giudiziario che però ha mostrato di raccogliere l’eredità morale di Paolo Borsellino. Perché deve essere chiaro che la quasi totalità dei magistrati di questo paese lavora in silenzio. Non avendo il tempo di scrivere libri e parlare in pubblico. E nei confronti di questi magistrati la nostra fede rimane incrollabile”.

I misteri dopo 32 anni

Trizzino è un fiume in piena: “Ancora oggi a distanza di ben 32 anni non sappiamo, al netto dell’agenda rossa, quali fascicoli, quali carte avesse nella borsa il dottore Paolo Borsellino e cosa è avvenuto nell’ufficio del dottore Borsellino? Non sappiamo quali fascicoli ci fossero sulla sua scrivania. Non sappiamo per esempio se ci fossero dei fascicoli sugli appalti perché non abbiamo mai visto un verbale di sequestro dei documenti. Eppure Borsellino era uno che lavorava tanto e ancora, il dottore Borsellino viene ucciso alle 16.58. Sappiamo che i sigilli sono stati apposti alle 23.28 del 19 luglio 1992″.

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Il falso pentito

Poi Trizzino, riferendosi al falso pentito Vincenzo Scarantino, che secondo l’accusa sarebbe stato imbeccato dai tre poliziotti imputati per costruire una falsa verità sulle stragi, ha aggiunto: “Si è deciso di ‘scarantinizzare’ le indagini. Perché quel depistaggio non si può spiegare solo con qualcosa che riguarda Cosa Nostra. Come puoi pensare che lo Stato non reagisse? Ci si concentrava su Vincenzo Scarantino sui suoi sbalzi d’umore e non su elementi fondamentali delle indagini”. Ancora oggi dopo tre decenni continuano a spuntare carte inedite.

Bruno Contrada

Il legale parla anche di Bruno Contrada, “che non era in via D’Amelio. Ma è stato il classico agnello sacrificale da mettere sull’altare”. Poi Trizzino riferendosi ai tre poliziotti imputati nel processo ha detto: “Ho compassione per il momento attuale ma non per il comportamento di allora. Perché – ha aggiunto riferendosi al capo del gruppo di indagine Falcone-Borsellino Arnaldo La Barbera – è assurdo che se una figlia chiede ‘dov’è l’agenda di papà?’ Tu, anziché approfondire le dichiarazioni di una persona che appartiene a una famiglia distrutta, dici ‘perché non la fate curare’?”

Quella scelta di La Barbera

Trizzino parla ancora di Arnaldo La Barbera, che “volle Mario Bo al suo fianco. Lo richiamò dall’anonimo commissariato di provincia di Volterra. Il dottore Bo non poteva che essere grato a La Barbera, per questo suo trasferimento a Palermo con un incarico prestigioso, e gli offrì fedeltà incondizionata. Ai giudici di primo grado forse è sfuggita questa natura dinamica del depistaggio. Ciascuno entra in un determinato momento e da quel momento dà il suo contributo”.

“Il dottore Bo – ha riferito Trizzino – decise consapevolmente di fornire il proprio contributo ad Arnaldo La Barbera. La cosa che più di altre lo dimostra è l’intercettazione di San Bartolomeo a Mare, quando Vincenzo Scarantino parla con Bo e, riferendosi a La Barbera, si capiscono al volo. E questo è l’elemento che unisce nel disegno criminale il dottore Bo al dottore La Barbera. Hanno avuto il coraggio di prendere in giro il popolo italiano”.

“D’altra parte il dottore La Barbera aveva bisogno di fedeli esecutori che non dicessero una parola. Quella che emerge è la figura di una persona forte con i deboli e debole con i forti”. E ancora rivolgendosi all’altro imputato Fabrizio Mattei, oggi presente in aula, Trizzino ha aggiunto: “Lei ha detto che ha partecipato alle indagini sulla strage di Capaci e allora a maggior ragione doveva capire che Vincenzo Scarantino era solo uno ‘scassapagliaro'”.

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23 Aprile 2024, 16:53

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