Strage Borsellino, dopo 31 anni spunta un'annotazione del falso pentito - Live Sicilia

Strage Borsellino, dopo 31 anni spunta un’annotazione del falso pentito

L'annotazione riemersa dalla palude
Chi e perché ha tenuto nascosti i sopralluoghi di Scarantino?

PALERMO – Dalla palude è emersa una “annotazione d’indagine” inghiottita nel buco nero della strage di via D’Amelio. Il 28, 29 e 30 giugno 1994 i poliziotti del gruppo “Falcone e Borsellino” che indagavano sugli eccidi del ’92, guidato da Arnaldo La Barbera, fecero dei sopralluoghi con il falso pentito Vincenzo Scarantino. L’esito finì dentro una relazione datata 1 luglio, di cui si scopre per caso l’esistenza ventinove anni dopo.

strage di via D'Amelio
La strage di via D’Amelio

Chi l’ha tenuta nascosta?

Fino a poche settimane fa nessuno ne era a conoscenza perché non c’è traccia nei processi. Un’annotazione anomala, nella forma ma anche nella sostanza visto che si fa riferimento a luoghi inediti dopo tre decenni di indagini e processi. Dimenticata oppure volutamente nascosta, da chi e perché? Era un modo per evitare che venisse smascherato Scarantino, un malacarne di borgata a cui hanno colpevolmente creduto decine e decine di magistrati prima che i processi basati sulle sue menzogne crollassero?

Processo “depistaggio”

Il procuratore generale di Caltanissetta Fabio D’Anna, i sostituti Gaetano Bono e Antonino Patti, e il pm applicato dalla Procura Maurizio Bonaccorso hanno depositato l’annotazione nel processo d’appello sul depistaggio. Sotto accusa ci sono tre poliziotti che indagarono sulla strage agli ordini di La Barbera, deceduto nel 2002: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Sono accusati di concorso in calunnia, aggravata dall’avere agevolato Cosa Nostra, per aver spinto Scarantino, Salvatore Candura e Francesco Andriotta, a dichiarare il falso sulla strage, autoaccusandosi e indicando come colpevoli altre sette persone scagionate dopo anni di carcere e che ora sono parte civile con l’assistenza degli avvocati Rosalba Di Gregorio, Giuseppe Scozzola e Salvatore Petronio.

In primo grado è caduta l’aggravante mafiosa ed è scattata la prescrizione per Bo e Mattei, mentre Ribaudo è stato assolto nel merito. “Senza la prescrizione Bo e Mattei sarebbero stati assolti”, hanno sempre sostenuto gli avvocati Giuseppe Seminara, Giuseppe Panepinto e Riccardo Lo Bue.

Una vicenda surreale

La vicenda è surreale sin dall’incipit. Il 5 ottobre scorso un poliziotto della squadra mobile di Palermo sta spostando alcuni fascicoli dall’archivio prima che entrino gli operai per una ristrutturazione. Gli occhi cadono su un “raccoglitore di cartone di colore scuro marca Fabius”, chiuso con dei “nastrini”. C’è scritto a penna, in rosso, “Materiale gruppo Borsellino”. L’agente lo apre e trova una carpetta “ingiallita dal passare del tempo” con la dicitura “Maurizio”, firmata da Maurizio Zerilli all’epoca ispettore di polizia e ora indagato dalla procura di Caltanissetta per false dichiarazioni al tribunale nel processo di primo grado.

C’è un’altra anomalia. Il 5 luglio successivo La Barbera invia una nota all’allora pubblico ministero di Caltanissetta Ilda Boccassini. In calce c’è il timbro con il nome del super poliziotto, ma manca la firma. Nel documento vengono riassunti gli esiti delle indagini per riscontare la credibilità di Scarantino. Sono elencati 38 allegati. Tra questi c’è anche l’annotazione saltata fuori solo ora. Strano, perché nei processi finora celebrati gli allegati risultano 36. Dei due mancanti uno è proprio la relazione sui sopralluoghi.

I sopralluoghi di Scarantino

L’annotazione d’indagine è anomala. Si parla dei luoghi visitati con Scarantino ma non c’è traccia dei riscontri sulle sue dichiarazioni. Ad esempio Scarantino, annota Zerilli, “ha indicato il punto dove ha posteggiato la macchina a circa 200 metri dall’officina di Orofino Giuseppe”. Ha parlato anche dell’officina? Non c’è traccia. Ed è parecchio anomalo visto che sarebbe stato un riscontro decisivo, tenendo conto che si tratta di uno dei luoghi simbolo delle bugie del falso pentito. Si disse, infatti, che Orofino aveva fornito una targa pulita per la 126 rubata – che avrebbe anche tenuto nella sua officina – utilizzata come autobomba in via Mariano D’Amelio a Palermo il 19 luglio 1992. Tutto falso, Orofino, oggi deceduto, fu arrestato nel 1993, poi condannato in via definitiva, quindi assolto nel processo di revisione nel 2017 e risarcito per gli anni ingiusti trascorsi da innocente in cella. Orofino dopo la lettura della sentenza di condanna scoppiò a piangere, urlando di disperazione, sbattendo la testa nel vetro della “gabbia” di imputato, proclamandosi innocente.

I summit e l’acido per i cadaveri

Nella annotazione del 1994 si ricostruisce che Scarantino durante il giro con il poliziotto ha parlato di un casolare a Borgo Molara “nella disponibilità di Carlo Greco dove venivano nascosti armi e droga”, di una casa in “via Santicelli” dove avvenivano summit di mafia. Ed ancora di appartamenti nella disponibilità di Pietro Aglieri “in via dell’Orsa Minore”, in via Guido Rossa, “in una parallela in viale Regione siciliana dopo il ristorante dove fu assassinato Pace Stefano”, di “un magazzino” in via Paterrnò dove “veniva scaricato l’acido per i cadaveri”. Aglieri era il boss di Santa Maria di Gesù, Greco il suo vice. Sono racconti di una certa rilevanza, ma nulla sappiamo sui riscontri.

Ci sono tanti, troppi interrogativi. Che ci faceva l’annotazione alla squadra mobile di Palermo visto che le indagini erano coordinate dalla Procura di Caltanissetta? Com’è possibile che a distanza di decenni ci siano ancora documenti sconosciuti a chi indaga? I poliziotti verificarono ciò che disse Scarantino? Finora nessuno dei protagonisti aveva parlato dell’annotazione. Alcuni dissero che non ricordavano di averla vista. Altri che a redigerla doveva essere stato Arnaldo La Barbera, capo della squadra mobile di Palermo a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta e poi a capo del “Gruppo Falcone-Borsellino”. Il pm Bonaccorso ha chiesto che vengano convocati Scarantino e Zerilli. Certamente loro sanno come sono andati i fatti in una vicenda paludosa che non smette di sorprendere.


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