Carcere Augusta, il "patatrac" hashish alla stazione di Catania - Live Sicilia

Carcere Augusta, il “patatrac” hashish alla stazione di Catania

L'indagine è partita nel 2021 dal racconto di due detenuti, che coinvolgevano alcuni agenti della penitenziaria. Ma la storia era un po' diversa.
OPERAZIONE "ALCATRAZ"
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CATANIA – Una staffetta che spesso partiva da Palermo, passava da Catania e, salvo sequestri e “patatrac”, aveva come punto di arrivo il carcere di Augusta, in provincia di Siracusa. Un lungo elenco di persone coinvolte, con l’obiettivo di fare arrivare nella casa di reclusione megarese panetti di hashish da vendere agli altri detenuti, telefoni cellulari e schede sim per comunicare con l’esterno. Sono i contorni dell’operazione Alcatraz, eseguita questa mattina dagli uomini del comando provinciale della guardia di finanza di Catania, insieme al Nucleo investigativo della polizia penitenziaria di Palermo. Sono 16, in totale, gli indagati della procura nell’indagine coordinata dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e dal sostituto Giuseppe Sturiale: per nove di loro si sono aperte le porte del carcere, altri due sono finiti agli arresti domiciliari.

Al centro dello smercio di droga dentro alle mura del carcere c’erano i palermitani Andrea Marino (classe 1976) e Ignazio Ferrante (classe 1983), accusati di organizzare “acquisto, trasporto, detenzione a fini di cessione, vendita, distribuzione, commercio, consegna e cessione” della droga nel penitenziario. In due modi: sfruttando i permessi premio di Carmelo Valentino, un altro dei detenuti, che recuperava all’esterno la merce illecita e la portava all’interno del carcere al suo rientro; oppure approfittando del lavoro di Ignazio Ferrante di responsabile della pulizia della cosiddetta “area esterna”, cioè quella accessibile anche ai congiunti dei detenuti. I familiari complici avrebbero portato l’hashish dentro a pacchetti di patatine, brick di succhi di frutta o pannolini. E li avrebbero poi gettati nei cestini a loro disposizione, che Ferrante avrebbe poi ripulito per lavoro.

L’inizio dell’indagine

L’indagine prende il via nel 2021, quando due detenuti nel carcere di Augusta raccontano ai magistrati i presunti traffiti illeciti che avrebbero legato alcuni agenti della polizia penitenziaria con altri carcerati. L’inchiesta sui poliziotti, però, scrive la procura di Catania, ha solo dimostrato l’estraneità degli agenti. Mentre quella sui detenuti impegnati in commerci illegali nella casa di reclusione si è trasformata negli arresti eseguiti stamattina.

Neanche una settimana dopo l’inizio degli accertamenti, i magistrati etnei ascoltano una conversazione difficile da equivocare. Al telefono si parlano due indagati: Giuseppe Nali, detenuto nel carcere di Augusta, e Giuseppa Bona, la giovane compagna. Nali è spaventato: “Mi sto sentendo male, sto tremando, mi viene anche da piangere“, dice a lei. È preoccupato perché quella mattina alcuni catanesi, appartenenti a un non meglio specificato clan mafioso, avevano picchiato a sangue un altro detenuto. Nali teme di fare la stessa fine, se non manterrà la promessa che ha fatto: fare entrare in carcere delle sim.

Per questo gli serve lei, Giuseppa Bona. Bisogna che lei incontri un terzo indagato, Matteo Caronda, padre di uno dei detenuti. Caronda sarebbe partito da Catania, la mattina del 3 agosto 2021, con l’obiettivo di portare le schede sim a Bona. E poi Bona le avrebbe dovute impacchettare per bene: prima nella pellicola trasparente, poi nella carta carbone e, infine, in bocca, più in fondo possibile, in modo da non essere viste ai controlli all’ingresso del carcere. Niente di particolarmente difficile. Lei aveva già fatto cose “più pazzesche”, la rassicura Nali, aggiungendo che non l’avrebbe più coinvolta. È l’inizio di tutto: nei confronti dei tre citati, piazza Verga non chiederà nemmeno la misura cautelare. Perché quella conversazione serve solo a scoperchiare un vaso di pandora che riguarda, per lo più, altri.

Il “patatrac” a Catania

Pochi mesi dopo, a novembre 2021, si consuma un altro degli episodi raccontati nelle 165 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare. Tra il 18 e il 19 novembre Carmelo Valentino (palermitano, classe 1970) usufruisce di un permesso premio per uscire dal carcere di Augusta dove è detenuto. Va a Palermo e poi, per rientrare nel Siracusano, passa da Catania. Scende dal pullman e, alla stazione del capoluogo etneo, viene fermato dai militari della finanza. Dichiara di non avere con sé nulla, di essere pulito. Ma le fiamme gialle insistono: potrebbe essere necessario un controllo più approfondito in una struttura sanitaria.

A quel punto Valentino confessa: nell’ampolla rettale sta trasportando diversi involucri di hashish. Per un peso complessivo poi quantificato in 230 grammi. Un sequestro, quello eseguito dai finanzieri, che viene definito un “patatrac” nelle conversazioni intercettate. Perché fa venire agli indagati il sospetto che la procura abbia alzato le antenne e che qualcosa, dei loro traffici illeciti, sia arrivata alle orecchie dei magistrati. “Ho sentito che è successo danno“, dice Michele Ferrante, padre di Ignazio, registrato dagli investigatori al telefono. Una “tombola”, prosegue, esternando le sue preoccupazioni. Corrette, viste le manette scattate oggi anche per lui.


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