Cronaca

La cocaina e i borsoni coi soldi: “Giuro su mio figlio, erano assai”

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16 Dicembre 2022, 06:01

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CATANIA – “Tanti erano l’altro giorno… Guarda se non sono riuscito a ‘mpunirimmilli. Quanto voglio bene a mio figlio: erano assai assai assai assai”. Circa 340mila euro, tutti in contanti, pesano. Pesano al punto che metterli in un borsone tutti insieme e portarli via di peso è cosa difficile. Anche per uno che sarebbe stato abituato ad avere a che fare con la droga. Anche per Giacomo Ravasco (classe 1992), nipote di Michele Vinciguerra, indagato anche lui nell’ambito del blitz Kynara, eseguito ieri dalla Polizia di Stato su richiesta della procura di Catania. Ravasco è già in carcere, dove sta scontando una condanna a quattro anni e mezzo per altri fatti di droga.

La cocaina a Catania, per conto del clan Cappello-Bonaccorsi, sarebbe stata movimentata così: in pesanti panetti portati in città da corrieri calabresi, frutto di un accordo tra Vinciguerra, noto tra i suoi come ‘u curdunaru, e Saverio Zoccoli. Vinciguerra, a cui la magistratura etnea contesta anche l’aggravante mafiosa, e l’amico Zoccoli sarebbero stati i promotori di una joint venture siculo-calabra nel segno del redditizio traffico della polvere bianca. Qualità “Lambo, Gucci, Fox”, come i nomi sui panetti. Affari di milioni.

Ravasco, intercettato dagli investigatori, discute con una persona non meglio identificata quando confessa di avere avuto per le mani tanto di quel denaro da non riuscire nemmeno a sollevarlo. È il 18 aprile 2021, Vinciguerra è uscito dal carcere, dopo 12 anni, da qualche giorno appena. Eppure, per gli investigatori, già in quel momento avrebbe ripreso il suo ruolo centrale nell’organizzazione della droga per conto dei Cappello. La giornata di Ravasco, suo nipote, fotografa le attività dell’organizzazione: l’agenda è fitta di impegni.

Il trentenne durante la mattinata si sarebbe occupato di confezionare un panetto da mezzo chilo di cocaina. “C’è tanta polvere”, sentono dire gli operatori che ascoltano le conversazioni. In qualche occasione successiva, la scarsa qualità si associa alla consistenza del “borotalco”, tanto che bisogna restituirla ai calabresi. Quel giorno, però, la qualità non è delle migliori, ma non è pessima al punto da non potere essere venduta. Così la droga viene portata a Librino, in viale Bummacaro: mezzo chilo sarebbe costato 17,9 mila euro.

La giornata va avanti: Ravasco è in macchina con sua moglie, Aurora Finocchiaro (classe 1999), arrestata anche lei. Prima vanno in casa “dell’albanese”, Kol Arapi, indagato nell’operazione. Quest’ultimo consegna a loro un borsone, secondo l’Antidroga catanese pieno di soldi. Poi, in serata, prima di andare a casa dello zio Michele Vinciguerra, marito e moglie incontrano un uomo.

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È la persona “non meglio identificata”, nelle carte dell’ordinanza di custodia cautelare legata al blitz. Il personaggio sconosciuto ha quella che, per lui, è una buona idea: rapinare un acquirente di una grossa partita di cocaina. Presentarsi all’appuntamento per la consegna, a Ognina, e portare via i soldi al compratore. Poi, per non destare sospetti, telefonare a zio Vinciguerra e spiegare: “Io sono qui, ma non c’è nessuno”. Semplicemente: sostenere di non avere potuto vendere la droga e intascare i soldi rapinati.

Ravasco è perplesso. Spiega che però quello stesso acquirente non paga poco. Compra la cocaina a 34mila euro al chilo. Dieci chili sono, appunto, 340mila euro. Proprio la cifra che, in occasione della consegna precedente, lui non era nemmeno riuscito a sollevare. “Se non sono riuscito a ‘mpunirimmilli…”, sottolinea. Giacomo Ravasco ci pensa e poi aggiunge: in effetti, si potrebbe anche rubare la cocaina dopo averla consegnata. E prendersi, quindi, in un colpo solo, i soldi e la roba. L’uomo sconosciuto, però, non ci sta: “E ci tolgo la cosa a tuo zio (Michele Vinciguerra, ndr)? Ma sei scemo?”.

Alcuni giorni dopo, il 22 aprile, il capitolo rapina sembra essere chiuso. E in casa di Vinciguerra il nipote continua a parlare di quote e soldi. A Catania a 32mila euro al chilo non la compra nessuno, il prezzo è più alto. Almeno, dice Giacomo Ravasco, è 34mila, riferendosi al prezzo d’acquisto dell’uomo a cui avrebbe voluto togliere soldi e coca. Tra una chiacchiera e l’altra, interviene la Jessica Maria Vinciguerra: classe 1992, figlia di Michele, da ieri ai domiciliari.

La donna amabilmente ricorda quanto successo un paio di giorni prima. Si trovava insieme a un uomo conosciuto a San Cristoforo come “il ragioniere”. Loro due erano lì che lavoravano, racconta la figlia d’arte: “Quando abbiamo contato quei soldi… A lui alluciavano gli occhi”. Un brillio di pura ammirazione.

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16 Dicembre 2022, 06:01

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