15 Settembre 2018, 19:49
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PALERMO– La dolce stanchezza di Papa Francesco si appoggia sulle ultime parole della sua lunghissima giornata palermitana: “Grazie a tutti per la pazienza, ragazzi. Voi siete in piedi, scusatemi, scusate se vi ho parlato seduto, ma le caviglie mi fanno tanto male…”. Ed è lì che i giovani di Palermo lo adottano con la tenerezza di un applauso da piazza Politeama. Adottano Francesco come uno zio spossato, come un nonno dolorante, come un padre che torna da molto lontano.
C’è sempre uno slargo di umanità, sotto l’abito da Sua Santità, che rende un pontefice riconoscibile e dunque amabile, perché vicino, a prescindere da sforzi, successi, errori ed, eventualmente, peccati.
C’era il “mi corrigerete” che incardinò, da un balcone, l’effigie di Papa Wojtyla nel cuore del suo popolo, come l’imporporarsi delle gote di Papa Ratzinger, quando un sentimento più forte affiorava in superficie. E adesso Papa Bergoglio che parla delle sue caviglie di uomo, così straziate dai passi terreni, sotto il cielo gentile di Palermo.
Il Papa e i giovani, un capitolo a puntate di immenso amore e di appassionati incontri. L’appuntamento è fissato per le cinque del pomeriggio a piazza Politeama. Via Libertà è una marea di telefonini spianati a perdita d’occhio. Sul palco si alternano artisti, esibizioni e musica. Si attende il capo dei cattolici, ma l’atmosfera rammenta un po’ il clima che precede un concertone rock del primo maggio.
Facce, sudori, palpiti. Una mamma sudamericana, con un bambino paffutello, è in affanno e cerca di salvare il piccolo dalla calca. Ci riesce. Il figlio, nel frattempo, gioca placidamente con un mazzo multicolore di chiavi, come se niente fosse. Intorno è tutto uno schioccare di baci a labbra salate, un fuoco quattro risate… e qualche fata nell’aria si intravvede.
E quando arriva ‘Papa Ciccio’? Si azzardano pronostici allucinanti che, in confronto, la pazzesca tensione per la partita dell’Italia durante la fantozziana corazzata ‘kotionchi’ era robetta da spiriti imbelli. E’ in Cattedrale. No, sta venendo. La papamobile ha una ruota sgonfia. No, si è fermato a mangiare un’arancina. Se la sta facendo a piedi. No, si è messo a palleggiare per la via con quattro ragazzini e un Super Santos. Il sole implacabile autorizza le più disparate e ironiche suggestioni.
Infine, un lampo bianco attraversa lo sguardo di tutti. Eccolo Papa Francesco. I Ciccio-boys intonano cori da stadio. L’incipit è dell’arcivescovo di Palermo, monsignor Lorefice. Don Corrado calibra le frasi, non lesinando centimetri, chili e profondità: “Ragazzi, non abbiate paura della vita, non ritiratevi nel disincanto. Essere giovani significa avere tempo. Ora stringiamoci intorno al Papa”.
E poi tocca davvero al Papa venuto dalla fine del mondo. Piano piano, dolcemente. “Sono contento di incontrarvi alla fine di questa giornata bella, ma stancante. Come parla il Signore, come si ascolta? Qualcuno ha il suo numero di telefono? Dio detesta la pigrizia. Giovani, dovete mettere il cuore in cammino”. Concetti da prete con le scarpe impolverate, la tonaca sdrucita e il cielo sopra di sé. La voce del pontefice è flebile, ma profetica, perché non nasconde il dolore. Chilometri e anni pesano come l’odio che divampa senza preavviso, di qua e di là. All’inizio non è semplice ascoltarlo. Ma poi, quella voce, diventa la melodia del pifferaio magico. Solo che non porta i ragazzi nell’ombra di una grotta: viene per tirarli fuori. Alla luce.
“Giovani, è brutto vedere un giovane pensionato, invecchiato troppo presto. Le chiamate di Dio non arrivano col telefonino. Non cercate Dio chiusi nella vostra stanza. Dio è nella relazione, cercatelo col dialogo. Tutto può cambiare”. Cose normali? Sì, ma anche in odore di eresia per la moltitudine dei teenager che si specchiano in uno smartphone, quasi una rivoluzione, un invito al ritorno della voce umana, nella voce del Santo Padre, friabile e provata.
Il timbro soffice non cambia modulazione: “Per essere costruttori di futuro vanno anche detti dei no: no al muro dell’omertà, un ‘ecomostro’ che va demolito per edificare un avvenire abitabile. No alla mentalità mafiosa, all’illegalità e alla logica del malaffare, veleni corrosivi della dignità umana. No ad ogni violenza: chi usa violenza non è umano”.
Ancora: “Voi siete un popolo frutto dell’incontro tra popoli e culture. La fede si fonda sull’incontro. Dio vuole che ci salviamo insieme, non da soli. Che ci salviamo come popolo. Voi siete un popolo con una identità grande. E dovete essere aperti ai popoli che come in passato vengono da voi. Quel lavoro di accoglienza e di rispettare la dignità degli altri non sono buoni propositi di gente educata, ma i presupposti dell’essere cristiano. Chi non è solidale non è un cristiano. Dovete essere uomini e donne di incontro in un mondo di scontri”.
E ancora: “Meglio essere Don Chisciotte che Sancho Panza. Sognate in grande, nei sogni ci sono le parole di Dio. Siate albe di speranza. Parlo della vostra speranza che è nelle vostre mani. Ognuno di voi può darsi la risposta. Sono radicato nei valori della vita o sono gassoso e senza radici? Ascoltate i vecchi che vi daranno le radici per la speranza”.
Qualcuno gioca col suo cellulare, tanti, adesso, orecchiano questo suadente Papa-prete che non gonfia i muscoli della retorica, preferendo il metodo di un quieto convincimento, di una garbata persuasione.
Ma si è già fatto tardi. La spossatezza dell’uomo vestito di bianco tocca il suo apice nell’agonia delle caviglie. “Chiedo a Dio una benedizione per il germe inquieto del vostro cuore”. Il viaggio papale finisce così, con un sussurro mentre scende la sera. Ancora baci, selfie e sguardi, fuori dalla grotta. Il bambino paffutello non ha mai smesso di giocare con le chiavi in un angolo della piazza. Chissà se c’è pure quella che apre la prigione di troppe anime recluse.
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15 Settembre 2018, 19:49