Cosa resta della legalità di Crocetta?

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02 Marzo 2015, 06:00

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PALERMO – È riuscito a violare una sfilza di articoli della costituzione, a farsi bacchettare a più riprese dai tribunali amministrativi, a farsi “rinviare a giudizio” per danno all’erario e persino a farsi sbattere in faccia le porte del tribunale di Palermo dove è arrivato per costituirsi parte civile in grottesco ritardo. È il governo della legalità.

La tanto annunciata svolta, anche stando alle pesanti parole pronunciate appena due giorni fa dal presidente della sezione giurisdizionale della Corte dei conti Luciana Savagnone, non è arrivata. Gli sprechi sono tutti lì. Anzi, stando alle parole riportate dal “Mattino di Sicilia”, il giudice contabile si è scagliata contro “i proclami, l’improvvisazione e la mancanza di progettualità” di una classe dirigente regionale responsabile di “una macroscopica manifestazione di disinteresse per l’oculata gestione dei fondi pubblici”. E la legalità?

L’ultima gita in Procura di Rosario Crocetta, dove la Regione ha provato invano a costituirsi parte civile contro un funzionario accusato di aver intascato mazzette, in effetti, è stato un flop. Ma c’è il rischio, domani, di sentir dire che si è trattato di un successone. Del resto, il governatore ha dichiarato di “non aver perso” nemmeno sulla vertenza Muos, dove il Tar ha spiegato esplicitamente che il governo ha sbagliato almeno tre volte. Lo stesso tribunale che ha dato ragione alla società Humanitas, definendo illegittimi gli atti della giunta in quell’occasione. Nonostante ciò, per Crocetta, anche in quel caso, il Tar gli avrebbe “dato ragione”. È il governo della legalità, dicevamo. E anche dell’ottimismo.

Ma il paradosso sta proprio lì. Il tanto sbandierato concetto di legalità, Treccani alla mano, altro non dovrebbe essere se non il semplice, normale rispetto delle norme. Delle regole. A cominciare ad esempio, dalla “legge delle leggi”: la Costituzione italiana. I cui articoli, soprattutto quelli che prevedono l’obbligo della copertura finanziaria per ogni nuova spesa, sono stati violati da Crocetta in quantità industriale. Le Finanziarie dei suoi governi, infatti, sono riuscite nel difficilissimo compito di far peggio di quelle di Raffaele Lombardo. A cassare, nel corso di due anni, circa un centinaio di articoli delle leggi di stabilità scritte dall’esecutivo della rivoluzione è stato il Commissario dello Stato Carmelo Aronica. Diventato in poco tempo un protagonista della vita politica siciliana. Per qualcuno un vero e proprio “salvatore della patria”, per altri un nemico dell’Autonomia. Fatto sta che gli interventi di Aronica, fino alla sentenza che ha annullato il controllo preventivo di Piazza Principe di Camporeale sugli atti di governo e parlamento, hanno evitato ad assessori e deputati guai persino maggiori. Il prefetto è stato costretto persino a segnare con la penna rossa errori da “compito in classe di matematica”. Come quando convocò in fretta e furia Crocetta e l’allora assessore all’Economia Roberto Agnello: la giunta era riuscita anche a sbagliare le somme del rendiconto.

Se i conti e la Finanziaria rappresentano il “cuore” della rivoluzione di Crocetta, è certamente il settore della Formazione professionale ad aver rappresentato per il governatore la copertina di quel libro dei sogni. Lì, il Consiglio di giustizia amministrativa è intervenuto pesantemente su un caso spinoso e allo stesso tempo simbolico. Quello, cioè, relativo al tentativo di “riparare” il danno all’erario commesso, secondo la Corte dei conti, tra gli altri dall’attuale Segretario generale Patrizia Monterosso e dall’ex presidente della Regione Raffale Lombardo oltre ad assessori del governatore di Grammichele. La Regione infatti, per recuperare le somme illegittimamente erogate in passato (i cosiddetti extrabudget) ha provato a congelare agli enti di formazione “fortunati” i finanziamenti legittimi erogati in un secondo momento. Un intervento, secondo il Cga, “giuridicamente immotivato”. Ma su questo tema il governo Crocetta è riuscito a compiere un capolavoro di legalità. Visto che alla stessa conclusione del Cga sono giunti, ad esempio, l’Ufficio antifrode dell’Unione europea (l’Olaf) e la sezione di controllo della Corte dei conti. Che ha aggiunto un passaggio: se proprio il governo vuole recuperare quei soldi, può semplicemente chiederli a chi è già stato condannato in primo grado dalla Procura contabile. Tra cui, appunto, il segretario Patrizia Monterosso. Che per il governatore è, però, esempio “di legalità e coraggio”. Spiegalo ai giudici amministrativi, contabili e persino a quei marziani degli ispettori europei…

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Forse, al governatore, risulta più semplice, semmai, chiarirsi con gli americani. Spiegare a loro, ad esempio, come mai una sentenza del Tribunale amministrativo con la quale sono stati revocati gli atti del governo, suoni invece come “una vittoria” del governatore. Mistero della legalità. Visto che i giudici del Tar, tra l’altro, nella loro sentenza hanno “sbeffeggiato” l’esecutivo. Facendo notare, ad esempio, che quello che Crocetta e i suoi consiglieri consideravano una “revoca” altro non era che un “annullamento d’ufficio”. E che la “revoca della revoca” con la quale Crocetta avrebbe voluto riaprire i lavori del Muos, ignorando – come emerge dalla stessa sentenza del Tar – gli studi che ne ribadivano la pericolosità, non poteva più avere alcun fondamento, visto che l’atto da “revocare”, grazie al primo intervento del governo, non esisteva più. Il Tar parla di “contraddittorietà fra atti, erroneità dei presupposti e difetto di motivazione”. Ma per Crocetta è stato un successo.

Come un successo, per il governatore, è stata la pronuncia sempre del Tar sull’imbarazzante caso Humanitas. Quella decisione del tribunale amministrativo, secondo Crocetta “dimostra che il governo e l’assessore Lucia Borsellino avevano ragione. Ed è singolare adesso ribaltare il senso di questa sentenza”. Già. Basterebbe non ribaltare la sentenza. La stessa che ha considerato illegittimo un decreto proprio del governo Crocetta. Dell’assessore Borsellino, in questo caso. Quanto basta, al governatore, per fare cenno alle solite forze del male che puntano a disarcionare chi vuole fare piazza pulita del passato (anche dell’esperienza di Massimo Russo, è lecito chiedersi a questo punto?). Condendo la lamentela con la solita minaccia di una visita in Procura per la solita denuncia.

Una passeggiata replicata tante volte. Spesso raccogliendone benefici mediatici assai sproporzionati rispetto all’effettiva “riuscita” della segnalazione ai pm. Come nel caso del presidente del Parco delle Madonie Angelo Pizzuto e il suo fantomatico viaggio in Canada. Le denunce, lo scandalo, la Procura, la “pulizia” della Regione. A voler dare un’occhiata adesso tutto somiglia a una recita, a un’impostura: Pizzuto è ancora oggi presidente dello stesso ente. E lo scandalo? La denuncia, in era Crocetta, è ormai promossa a elemento primario del diritto. In molti casi, basta quella. Come nel caso del funzionario Gianfranco Cannova, accusato di aver intascato mazzette per favorire alcune autorizzazioni nel settore delle discariche. Il governo della rivoluzione, dopo avere urbi et orbi diffuso la litania dello sdegno, ha “dimenticato” di costituirsi parte civile. Cercando di recuperare “goffamente” come farebbe un cittadino moroso al quale hanno tagliato la luce: “Siete sicuri che mi avete recapitato la bolletta?”. Ma i giudici hanno sventolato sotto il naso di Crocetta la “notifica” del procedimento a Cannova, che la Regione affermava (sotto il peso di una tonnellata di accorti condionali, quelli dell’Avvocato dello Stato su cui si basa la delibera della inutile costituzione di parte civile) di non aver mai ricevuto.

La legalità sta anche lì, probabilmente. Nel rispetto delle regole. E delle istituzioni che le regole devono farle rispettare. Anche se, in qualche caso, devono intervenire nei confronti di chi, fino al giorno prima, aveva svolto lo stesso ruolo: quello dell’inquirente. È il caso della sentenza con la quale la Procura della Corte dei conti ha “rinviato a giudizio contabile” l’ex pm Antonio Ingroia e proprio Rosario Crocetta per il caso delle assunzioni a Sicilia e-servizi. Assunzioni giunte tramite la selezione compiuta da una commissione “artigianale” (che non trovava, a proposito di legalità, alcuna legittimazione giuridica, secondo i pm) e dopo aver creato alla Regione un intero ufficio che avrebbe dovuto svolgere le funzioni del carrozzone di e-Servizi. “Il governo – scrivono i pm contabili nella sentenza – ha rinnegato la prima scelta di legalità”. Ma forse ha vinto anche quella volta.

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02 Marzo 2015, 06:00

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