09 Gennaio 2022, 05:20
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Quasi vent’anni. Si chiude un’epoca, anche se forse non totalmente. Perché monsignor Salvatore Gristina, la cui rinuncia è stata accettata ufficialmente ieri da Papa Francesco, resterà a vivere a Catania. Certamente non in Arcivescovado, che sarà lasciato nella disponibilità esclusiva ovviamente del vescovo eletto, monsignor Luigi Renna. Ma nella casa del clero. Una scelta che rivela sintonia e cortesia tra i due episcopi. È il codice di diritto canonico a stabilire a chiare lettere, infatti, che un vescovo emerito può restare dentro il territorio diocesano soltanto se il successore acconsente. Il motivo è semplice: evitare divisioni, sia nel clero che nel “popolo di Dio”.
Un rischio che evidentemente non c’è. Gristina intanto resta come amministratore apostolico della diocesi. Stessa cosa vale per Renna, che lo sarà di Cerignola fino a quando non sarà individuato il successore. I tempi per la presa di possesso della cattedra catanese non sono stati ancora stabiliti. L’auspicio dei più, anche per questioni simboliche (e di buon augurio), è che tutto ciò possa avvenire prima del 5 febbraio, ricorrenza liturgica dedicata alla martire Agata. Come si sa, non ci sarà alcuna processione. Ma un ingresso prima di una delle ricorrenze più sentite dai fedeli potrebbe aiutare a entrare subito in sintonia con la città.
La lettera di saluto inviata ai catanesi, con i richiami alle sofferenze del mondo del lavoro e alle figure di Romero e di Antonino Bello, ha fatto breccia e contribuito a superare le sbandate delle ultime ore. Soltanto ieri, infatti, era uscita l’indiscrezione su Renna; proprio mentre Gristina stava presentando alla stampa i membri del comitato dei festeggiamenti agatini. La convocazione a mezzogiorno in Cattedrale, lanciata nelle prime ore di ieri, dal vicario generale, ha preso in contropiede un po’ tutti. Le lacrime dello stesso Gristina hanno poi fatto il resto.
“Una nuova energia per la Chiesa che contribuirà all’azione di sostegno soprattutto alle fasce più deboli della popolazione gravata dalle ferite del Virus, rinnovando il profondo segno lasciato tra i fedeli da monsignor Salvatore Gristina”, è l’augurio espresso dal sindaco di Catania Salvatore Pogliese. “A quest’ultimo – ha detto ancora – esprimiamo sincera gratitudine per avere servito per 20 anni la nostra città, la nostra provincia, la comunità cattolica”. “Un ruolo che l’arcivescovo uscente – conclude il sindaco Pogliese – ha svolto con grande garbo in sintonia alle oltre 150 parrocchie della diocesi, con esplicita propensione al confronto per la crescita collettiva, condividendo la vicinanza alla città di Catania e ai paesi etnei nei momenti belli e in quelli brutti”.
Salvo Pogliese tenta dunque un primo e difficile bilancio su un ventennio assai complesso. Gristina è entrato nel 2002 a Catania dalla vicina Acireale. Il sindaco era Umberto Scapagnini. E sul piano internazionale la guerra al terrorismo e l’euro stavano cambiando le abitudini degli italiano e aprivano le porte a interminabili scenari di crisi. Un episcopato lungo, segnato da speranze e drammi. Uno su tutti: la morte del devoto Roberto Calì durante le processioni agatine del 2004. Una tragedia che però è servita a riprendere per i capelli la gestione della terza Festa cattolica più grande al mondo e contrastare le infiltrazioni criminali.
Durante questi anni, sono state le vicende dell’Oda (Opera diocesana assistenza) a segnare in maniera indelebile l’agenda dell’Arcivescovo. Sia per problemi economici, occupazionali e giudiziari (che hanno coinvolto lo stesso Gristina per poi vedere la sua posizione archiviata).
Saranno ovviamente gli storici a dover tentare di mettere ordine a questa lunga fase storica della Chiesa catanese e siciliana. Il palermitano Gristina è ancora l’attuale presidente del Cesi. Di certo c’è che intercettando un successore dalla Puglia, il Papa ha voluto dare un ennesimo segnale di discontinuità non soltanto alla chiesa siciliana, ma Italiana.
L’obbiettivo del Santo Padre è quello di rompere il carrierismo che spesso ha condizionato anche le nuove nomine episcopali e neutralizzare l’eccesso di continuità territoriale nelle diocesi. Non è un caso infatti se due catanesi, nel 2019, sono stati inviati fuori dall’Isola: Giuseppe Schillaci a Lamezia Terme e Giuseppe Baturi a Cagliari. Ma c’è anche un secondo obbiettivo che sta inseguendo Bergoglio: quello che i vescovi tornino a fare i pastori, pensando alla Chiesa come a “un ospedale da campo” con tanti feriti da curare urgentemente. Nell’animo.
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09 Gennaio 2022, 05:20