23 Maggio 2012, 09:12
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Vent’anni senza il collega. Vent’anni senza il compagno d’avventure, di risate, di gioie, delusioni, idee e successi. Dal 23 maggio 1992, quello che per lui era anzitutto un amico con la “a” maiuscola, non c’è più. Al suo posto c’è una lacrima, che sul viso di Leonardo Guarnotta, magistrato antimafia e presidente del Tribunale di Palermo, scende non appena si comincia a parlare di Giovanni Falcone e di quel giorno sporco di tritolo e sangue.
Guarnotta travolge con una valanga di racconti e aneddoti: il suo tono di voce e lo sguardo perso tra ricordi, che sembrano risalire soltanto a ieri, descrivono molto più delle sue stesse parole. Insieme a Falcone, Paolo Borsellino e Peppino Di Lello istituì il primo maxi processo contro la mafia, ma in occasione del ventennale della strage di Capaci, i pensieri che il magistrato rivolge a Falcone sono gli stessi che si dedicherebbero ad un fratello, più che ad un collega di lavoro. E’ il suo cuore a parlare, a ricordare le serate al ristorante, le cartoline ricevute a casa a ogni viaggio dell’amico, la collezione di penne stilografiche, quella di papere.
“Ne aveva tantissime e di ogni tipo – racconta Guarnotta -. Di carta, di legno, plastica, gomma. Quella delle papere era una simpatica passione di Giovanni e, recentemente, sono riuscito a farmene regalare una da sua sorella Maria, proprio per ricordare questo suo aspetto ludico. Quella che condividevamo davvero però era la fissazione per le penne stilografiche. Nella mia mente – dice il giudice – sono indimenticabili quelle ore che trascorrevamo fuori per andare insieme alla cartoleria De Magistris di via Gagini per acquistare le ultime novità. A Giovanni piaceva sfoggiarne una diversa ogni giorno: piccoli-grandi ricordi che tuttora rendono i suoi sorrisi indelebili”.
A scortare i due giudici durante quegli anni caldi era Ignazio D’Antone, il poliziotto che, come Bruno Contrada, finì sotto accusa per concorso esterno in associazione mafiosa. “Sono cambiate tante cose da allora. Quei pomeriggi tra lavoro e amicizia sembrano lontanissimi, ma Giovanni è come se fosse ogni giorno con me. Così come Paolo. Per questo quelli che mi vengono in mente sono sempre aneddoti che riguardano due amici, non due colleghi”.
Amicizia che proseguiva anche oltre le ore lavorative, con famiglie al seguito. “Eravamo molto uniti – prosegue Guarnotta -. Il nostro locale preferito era un ristorante nella zona di via Leonardo da Vinci, dove andavamo almeno una volta a settimana con mia moglie e Francesca. Dopo cena, frequentemente, restavamo a chiacchierare ed erano quelli i momenti in cui Giovanni tornava bambino: allontanava i pensieri lavorativi e le preoccupazioni, usciva la sua vera essenza, quella da uomo allegro, positivo e disponibile. E se all’improvviso sentivo arrivare qualcosa sulla mia testa – racconta divertito il giudice – mi accorgevo soltanto dopo qualche minuto che era lui a lanciarmi delle molliche. Sbriciolava il pane e cominciava a “giocare”, al punto da trasformare il pavimento in un tappeto di mollichine. Ridevamo come dei ragazzini e penso a lui e Francesca, e a quelle ore spensierate, ogni volta che osservo una statuetta di legno che mi portarono dal loro viaggio di nozze. In quell’occasione mi mandò l’ennesima cartolina. Dovunque si trovasse – ricorda sorridendo il magistrato – scriveva sempre: “Affettuosi saluti”. Per mano della mafia non abbiamo perso soltanto un magistrato, ma anche una grande persona. Non c’è giorno che passa in cui io non lo pensi”.
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23 Maggio 2012, 09:12