Comunque vada, è un disastro | In Sicilia politica da rifondare

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30 Ottobre 2017, 06:04

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PALERMO – La settimana delle elezioni è arrivata. Domenica i siciliani sceglieranno governatore e deputati, chiudendo la tormentata era di Rosario Crocetta. Eppure, è davvero difficile oggi esercitare l’ottimismo e la speranza in vista di questo appuntamento. Per una serie di buone ragioni.

Partiamo da qualche numero. In particolare quelli dell’ultimo sondaggio dell’Istituto Demopolis. Secondo il quale un siciliano su quattro non sa nemmeno che il 5 novembre si vota. Possibile nell’era della comunicazione? Pare proprio di sì. E tra quanti sanno che domenica si vota, una percentuale non irrilevante non sa nemmeno chi siano i candidati.

Ancora Demopolis: secondo l’ultimo “Barometro politico” la fiducia dei siciliani nell’istituzione Regione è crollata dal 33 per cento del 2006 al 12 di oggi, un valore più basso di quasi venti punti percentuali rispetto alla media nazionale.

Piaccia o meno, è da questi numeri che bisogna partire. Da una regione dove un elettore su due non va a votare. Dove alla politica non crede davvero quasi più nessuno, al netto di quella fetta minoritaria ma non esigua di persone che con la politica e i suoi annessi e connessi cala la pasta, per usare una perifrasi inelegante ma efficace.

La domanda da porsi anzi tutto è se questa campagna elettorale ha avuto un effetto positivo sullo smembramento del tessuto politico-sociale della Sicilia. E purtroppo è davvero difficile azzardarsi a rispondere sì. Anzi, forse come mai prima, questa campagna elettorale è sembrata fino a pochi giorni fa quasi invisibile. E il maligno sospetto che a qualcuno abbia fatto comodo così, per garantire un maggior peso ai voti organizzati di clientes nel deserto dell’astensionismo, può insinuarsi.

I quattro big che si contendono le chance di successo finale, va detto, sono quattro degne persone. E questa è stata la buona notizia iniziale. Non altrettanto confortanti, purtroppo, sembrano le offerte politiche da loro proposte ai siciliani. Offerte che, va detto senza giri di parole, appaiono assai fragili. E vale la pena spendere qualche parola sui motivi di questa fragilità.

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Partiamo da chi non porta sul groppone il peso della responsabilità degli ultimi diciassette anni di governo della Regione, cioè il Movimento 5 Stelle. Cancelleri e i suoi si sono proposti come nuovi e hanno portato avanti una campagna elettorale battagliera. Ma ancora una volta, in più di un’occasione, hanno trasmesso quella cifra di inaffidabile approssimazione che tiene lontana dal Movimento una grossa fetta di elettorato. Basti pensare, a titolo d’esempio, al clamoroso autogol sulla lista degli “impresentabili”, con accuse buttate a casaccio che hanno costretto Cancelleri a imbarazzanti scuse.

Poi c’è Nello Musumeci. Politico di razza e di sicura esperienza, con alle spalle trascorsi apprezzati da amministratore. La sua candidatura ha scaldato i cuori di un pezzo di Sicilia. Poi però è arrivata la data di presentazione delle liste, che nel centrodestra appaiono intasate da candidature alquanto discutibili, che hanno il brutto retrogusto dei vecchi vizi della politica nostrana, quelli che hanno contribuito ad allontanare i siciliani dal Palazzo, come il trasformismo spregiudicato per non parlare d’altro. Colpa dei partiti, ha spiegato il candidato presidente, che vanta una storia di onestà e rigore. I candidati lui li ha letti sui giornali, ha detto ieri in tv. Eppure verrebbe da chiedersi, se Piero Grasso avesse accettato la candidatura per il centrosinistra, avrebbe o no avuto la forza di imporre ai suoi scelte al di sopra di ogni possibile mascariamento? Il quesito lascia aperto qualche interrogativo su quelli che sarebbero i rapporti di forza tra governatore e alleati nella prossima legislatura.

La candidatura di Fabrizio Micari, persona preparata e di garbo, è stata figlia del caos definitivamente esploso in un centrosinistra acefalo, in cui Leoluca Orlando ha cercato di vestire i panni del mattatore non imbroccandone una. E così attorno al rettore, accanto ai buoni propositi e alle idee di innovazione, rimangono i tanti nodi irrisolti che hanno caratterizzato la caotica stagione del crocettismo. Fragilità, appunto.

Quanto alla proposta di Claudio Fava, malgrado l’asserita ambizione di vittoria, la piattaforma politica che si è coagulata attorno alla sua candidatura, per quanto rispettabile e autorevole, ha offerto e continua a offrire l’immagine di un progetto le cui effettive e concrete aspirazioni si riducono in grande parte allo sgambetto al detestato Matteo Renzi.

Tra queste offerte a cui si aggiunge quella indipendentista – romantica ma oggi per lo più di testimonianza – dell’appassionato candidato Roberto La Rosa, i siciliani dovranno tra sei giorni scegliere. Sforzandosi di non cedere alle sirene dell’astensionismo, che hanno come unico effetto quello di lasciare che una sparuta minoranza di votanti decida le sorti di una regione di cinque milioni di persone.

Cosa resterà allora, alla fine della fiera, di questa campagna elettorale tra sette giorni? La speranza, ostinata, è che ripartendo da qualche piazza piena, che pur si è vista in queste settimane, da un inizio di risveglio di passione e dai tanti buoni propositi puntualmente sciorinati come da copione, la politica siciliana si rimbocchi le maniche per ricostruire un minimo di tessuto dai brandelli di questi anni, per ricostruire un ponte con la realtà, non solo quando c’è da cercare voti. Una missione che tutti i contendenti in questa sfida dovrebbero avere a cuore, a partire da lunedì prossimo.

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30 Ottobre 2017, 06:04

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