Cronaca

Concorso esterno, Lombardo a giudizio: i tasselli del mosaico dell’accusa

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31 Ottobre 2020, 17:59

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CATANIA – Oltre quattro ore di udienza. Ed è solo l’inizio della requisitoria del processo d’appello bis a carico di Raffaele Lombardo, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Un nuovo procedimento frutto dell’annullamento con rinvio della Suprema Corte di Cassazione della sentenza dei giudici di secondo grado che nel 2017 avevano ribaltato il verdetto del gup assolvendo l’ex presidente della Regione Sicilia dall’imputazione di concorso esterno e condannandolo per corruzione elettorale aggravata dal metodo mafioso. 

Prima di prendere la parola le pg (applicate) Sabrina Gambino e Agata Santonocito, ha voluto rilasciare dichiarazioni spontanee Raffaele Lombardo, difeso dal professore Vincenzo Maiello e dall’avvocato Maria Licata. Il fucus delle esternazioni rese dal politico catanese alla Corte d’Appello, presieduta dal giudice Rosa Anna Castagnola, si sono concentrate sulle propalazioni del collaboratore Dario Caruana, che nelle scorse udienze ha parlato di un vertice – che si sarebbe svolto nei primi sei mesi del 2003 – in una casa di campagna alle porte di Barrafranca alla presenza del “vecchio boss” del calatino Ciccio La Rocca, il capomafia ennese Raffaele Bevilacqua e il colonnello di Cosa nostra catanese (ormai deceduto) Alfio Mirabile. Caruana avrebbe accompagnato quest’ultimo all’appuntamento, ma sarebbe rimasto fuori “a vigilare” l’ingresso. Il nodo della riunione riservatissima: appalti e affari. 

Lombardo è stato preciso. Puntuale. E come, hanno evidenziato le stesse magistrate, ha dimostrato una profonda conoscenza delle dinamiche criminali catanesi. L’ex governatore siciliano elenca una serie di dettagli, collegati al percorso per raggiungere la dimora e alle inchieste di Ros e Dia che riguardano i protagonisti citati dal collaboratore, che “attesterebbero la falsità di Caruana”. Il politico catanese, inoltre, evidenzia come nei tabulati telefonici del suo cellulare in quel periodo non ci sia una sola volta una cella d’aggancio con quella zona. E poi nel 2003 “ero candidato alla carica di presidente della Provincia regionale di Catania e il mio avversario era Claudio Fava. Ma secondo voi potevo rischiare davvero di partecipare a un incontro del genere? La mia carriera politica sarebbe finita”, afferma. 

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Questioni a cui la pg Agata Santonocito ha risposto punto per punto quando ha affrontato il nodo “attendibilità” del collaboratore Dario Caruana. Il percorso da Catania alla contrada dove sorgeva la casa dell’incontro? Santonocito ha invitato la Corte a consultare qualsiasi sito di mappe su internet per comprendere come i viaggi più agevoli consigliati prevedono un arrivo in quella zona prima di entrare nel centro cittadino. Così come racconta Caruana. Non ci sono tracce nei tabulati? Per Agata Santonocito, Lombardo non avrebbe mai partecipato a un incontro del genere lasciando il cellulare acceso. E sui rischi di essere visto in piena campagna elettorale? Dalle ricostruzioni dell’accusa, la casa di cui riferisce Dario Caruana “sarebbe di Totò Bonfirrato, un mobiliere all’epoca incensurato e con cui – per stessa ammissione dell’imputato – Lombardo avrebbe avuto contatti telefonici. Quindi in quel periodo quel luogo era congruo e adeguato”, ha detto la pg. 

Per il magistrato, dunque, il racconto di Dario Caruana è un riscontro più che idoneo alle dichiarazioni del super pentito Santo La Causa. Uno dei primi a rilasciare dichiarazioni sui possibili contatti tra Lombardo e alcuni dei massimi vertici di Cosa nostra catanese. Però quelle rivelazioni non sono  – a dispetto di quelle di Caruana – provenienti da proprie conoscenze, ma le ha apprese da altre fonti. Precisamente da boss di primo piano della mafia, Carmelo Puglisi e da Raimondo Maugeri (ucciso nel 2009). Se il primo gli ha raccontato di un possibile summit a cui avrebbe partecipato Lombardo, è il secondo a dare – secondo la pg Sabrina Gambino – una fondamentale “tessera del mosaico”. La Causa infatti avrebbe incontrato Raimondo Maugeri, pezzo da novanta della corrente Ercolano di Cosa nostra e reggente del gruppo del Villaggio Sant’Agata, nel 2008 appena scarcerato. E in quel dialogo il boss avrebbe detto al collaboratore che “voleva riallacciare i rapporti con Raffaele Lombardo” per poter riorganizzare il clan e quindi rimettere in piedi la forza degli Ercolano dispetto ai Santapaola. 

Un racconto- per la pg – che si è saldato al racconto di Puglisi a La Causa. Ma il magistrato ha compiuto un salto in avanti. Un passo che ha delineato il costrutto accusatorio affrontato nella prima parte della requisitoria. “È Ciccio La Rocca quello che ha il rapporto forte con Lombardo”, gli avrebbe spiegato Puglisi a La Causa. Insomma “era lui l’amico vero”. Un rapporto tra il grande vecchio del calatino e dell’ex Presidente della Regione che emergerebbe anche dai verbali di altri pentiti finiti agli atti del processo. In fondo, come è documentato nelle sentenze, Francesco La Rocca curava il mondo degli appalti. Un settore che solo i piani altissimi di Cosa nostra avrebbero potuto toccare. E dove i contatti politici contavano. Nel processo, come nuovo pentito, è stato ascoltato anche Francesco Squillaci, detto Martiddina, che ha raccontato di un incontro al carcere di Opera nel 2010 con Ciccio La Rocca. Il boss avrebbe commentato le indagini che avevano colpito in quel periodo Raffaele Lombardo. Il vecchio capomafia avrebbe detto a Squillaci: “Quello era un amico nostro”. Un’altra pennellata che si aggiunge al quadro che Agata Santonocito e Sabrina Gambino dovrebbero completare il 10 novembre. Ma i pezzi del puzzle sono ancora molti. E, quindi, le conclusioni con le dovute richieste di pena potrebbero non arrivare nella prossima udienza. 

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31 Ottobre 2020, 17:59

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