15 Dicembre 2020, 09:42
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C’è un nuovo arresto nell’inchiesta “Sorella sanità” sul giro di tangenti per aggiudicarsi gli appalti pubblici.
Ai domiciliari finisce Vincenzo Li Calzi, 45 anni, avvocato di Canicattì, dopo che il Tribunale del Riesame ha accolto il ricorso della Procura contro la decisione del giudice per le indagini preliminari che lo scorso maggio non aveva accolto la richiesta di misura cautelare per Li Calzi. La Cassazione ha respinto il ricorso della difesa.
Le indagini dei finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria del comando provinciale di Palermo hanno fatto emergere il suo ruolo di fidato collaboratore dell’imprenditore agrigentino Salvatore Manganaro. Secondo il gip, non c’erano gli elementi investigativi sufficienti a confermare l’accusa di corruzione propria aggravata. Ora è andata diversamente.
Il reato a Li Calzi viene contestato in concorso con Fabio Damiani, ex manager dell’Asp di Trapani e responsabile della Centrale unica di committenza della Regione, Francesco Zanzi, amministratore delegato della Tecnologie Sanitarie e Roberto Satta, responsabile operativo della stessa società.
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Le tangenti sarebbero state pagate per l’aggiudicazione di due gare d’appalto, bandite una dall’Asp di Palermo e l’altra dalla Cuc, relative alla manutenzione di apparecchiature elettromedicali.
Li Calzi, secondo l’accusa, avrebbe svolto il delicato compito di “contabile delle tangenti” per conto di Manganaro del quale sarebbe stato prestanome per le principali società di comodo e per il trust nei quali confluivano i soldi accumulati illecitamente.
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Il 4 dicembre 2018 Salvatore Manganaro si era recato in aereo a Napoli. All’indomani era già di ritorno, stavolta in nave. Alle 7:30 sbarcò a Palermo e un’ora dopo Damiani lo raggiunse nel suo ufficio al civico 46 di via Principe di Villafranca.
Il dialogo è stato intercettato dai finanzieri. Manganaro spiegava a Damiani di avere portato “il fine mese… cioè intanto ti ho portato 10”. Damiani era perplesso: “Tu hai detto che ne davi 50”. Manganaro si giustificava: “… non è che portavo i borsoni enormi… non è che me ne vado camminando con cento carte appresso quindi l’ho piazzati così in ufficio… intanto questi portateli”.
Secondo il procuratore aggiunto Sergio Demontis e i sostituti Giovanni Antoci e Giacomo Brandini, stavano parlando di soldi. Alle 18:15 Damiani arrivò in via Principe di Villafranca con una borsa di colore nero. Al primo piano si vedevano, attraverso la finestra, Manganaro assieme a Satta, e Li Calzi. Quest’ultimo si sarebbe intestato, così scrivono i magistrati, per il tramite di trust, una fitta trama societaria e finanziaria riconducibile a Manganaro e ne avrebbe curato la contabilità e gli aspetti amministrativi.
Alle 20:22 Manganaro e Damiani erano di nuovo da soli dentro l’ufficio. Manganaro maneggiava delle buste di plastica: “Il sacchettino verde è un minchia perché è pittata… è trasparente quindi si vedeva la busta e dentro i cosi… le tue idee”. Alle 20:35 Damiani usciva dallo stabile. Secondo gli investigatori, aveva appena incassato la parte delle “100 carte” e cioè la tangente di 100 mila euro pagata dai vertici di un’altra la società, la Siram, che Manganaro aveva ritirato il giorno prima a Napoli.
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