Conti e classifiche: un disastro | Ma in Sicilia non si muove niente

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22 Dicembre 2019, 06:04

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La Sicilia, eccola: impalpabile espressione dell’anima, parco di divertimenti per turisti facoltosi in tour fra miti e disgrazie, Isola carica di reperti e di macerie, luogo comune di ogni scrittura, ma senza più vita propria. Già le immaginiamo le cose e le persone spazzate via dai tempi verosimili che verranno in un capovolgersi repentino del Monopoli. E già ci immaginiamo nella nudità dei giorni futuri, quando forse saremo noi incatenati ai barconi della disperazione, non più spettacolo dell’altrui perdizione, cronaca della nostra.

La Sicilia, eccola: mortificata nella sua politica, con giudici contabili che fanno a pezzi anni e anni di governi, senza risparmiare il presente. Ed ecco i maggiorenti del potere al comando che si dividono le parti disponibili  del dramma, come se fosse una questione di recite e sipari. Uno, il presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè, lancia un tardivo appello all’unità, un invito a una possibile coalizione di buoni e giusti che possa scendere in campo per sistemare ciò che non è più sistemabile. L’altro, il presidente della Regione Nello Musumeci, promette un’onesta fatica, un’ascesa di lacrime e sangue.

Ma allora perché abbiamo l’impressione che ogni sforzo sarà inutile e che nessuna emergenza incrinerà mai i giochi di un sistema – nominalmente e ipocritamente diviso in maggioranza e opposizione – che è nato per salvare se stesso, e soltanto se stesso, finché sarà possibile?

E poi le brucianti classifiche del ‘Sole 24 Ore’ in cui rivaleggiamo per accaparrarci, provincia per provincia, gli ultimi posti in classifica, quasi compiaciuti dello sfascio, quasi che l’affondamento progressivo fosse il segno di una tradizione ineludibile. La nostra disgraziata tombola natalizia.

L’ha detto, l’altra sera, il presidente dell’Antimafia, Claudio Fava, con la necessaria e cruda lucidità, durante la trasmissione ‘Casa Minutella’: “La Sicilia sta male. Ma è come se fosse normale essere figli di un dio minore. Siamo dentro questo fato e ne siamo compiaciuti”. Ed è davvero così che scorrono i minuti sulla zattera della Medusa-Trinacria, vagheggiando che non ci sia mai il punto del non ritorno e che spunti una nuova promessa di salvataggio. Fino a quando?

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Ci sono state sollevazioni della cosiddetta società civile davanti a una serie così ineludibile di notizie del disastro reiterate negli anni? C’è stato qualche intellettuale che abbia protestato con veemenza al cospetto di un’agonia annunciata? Qualcuno ha chiesto a gran voce le dimissioni di qualcun altro, chiamando su un ideale banco degli imputati politico i protagonisti di quasi tutti i governi incapaci di fare fruttare risorse, autonomia e vocazioni più o meno funzionali allo sviluppo?

Niente di niente. Ce ne restiamo qui, immobili, a scrutare il sole e la luna, ammalati di indifferenza, votando e sbagliando sempre, ri-sbagliando e rivotando sempre, in un’unica maschera di fallimenti progressiva che mette alle strette il successore governante rispetto al profilo di chi lo ha preceduto. E ognuno paga le proprie irresolutezze e le colpe scavate nella storia.

Sicché, non rimane che citare Sciascia – il solito Sciascia, verrebbe da dire -: “ La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più né sole né luna, c’è la verità”. Il solito Sciascia. La solita Sicilia. In bilico sul pozzo, come se la verità non dovesse mai arrivare. Forse è soltanto questione di tempo.

 

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22 Dicembre 2019, 06:04

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