“600 euro e il Signore glielo paga”| I poliziotti scontavano le multe

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12 Ottobre 2016, 16:43

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PALERMO – La sanzione era di quelle che potevano mettere in ginocchio qualsiasi piccolo imprenditore: sequestro del mezzo e 25 mila euro di multa. Per limitare i danni agenti della Polstrada avrebbero chiesto e ottenuto il pagamento di una tangente. Gli assistenti capo Nicolino Di Biagio, Giuseppe Sparacino e Francesco Paolo Minà sono finiti agli arresti domiciliari. Il pubblico ministero Pierangelo Padova gli contesta i reati di corruzione, concussione e falso. L’ordinanza di custodia cautelare è firmata dal giudice per le indagini preliminari Patrizia Ferro.

Sono stati i poliziotti della Squadra mobile a indagare sui colleghi. L’inchiesta è partita dalle denunce dei titolari della “Sikelia costruzioni” e della Ditta Cusumano: gli agenti gli avano detto che pagando sette mila euro avrebbero chiuso un occhio su una serie di infrazioni in realtà contestate in maniera pretestuosa.

Sono state le conversazioni dei tre agenti a inchiodarli. Subito dopo avere ricevuto l’avviso di proroga delle indagine è inziato un vorticoso giro di appuntamenti e telefonate, tutte registrate. Ed è emerso che gli assistenti capi avrebbero incassato una parte delle tangenti, seicento euro riscossi in un bar nella zona di corso Calatafimi. Così diceva Saparcino: “…questo è… l’unico episodio in mezzo alla strada, gli dovevamo fare a quello il 46, facemmo il 34, 180, 180… facemmo un po’ di verbali, anziché farci il 46… quello prese e ci ha dato 600 euro”.

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Era solo un acconto: “… piglia e Nicola mi fa a me… dice, ora gli dico che mi da altri 600 euro, ora la prossima settimana lo chiamo… secondo me fu lui lì che forzò… lui là forzò e si è rotto il coperchio… hai capito?… compa… oh… vedi che, non fare questi discorsi mai nella macchina, a casa… perché vedi che io…”. Aveva intuito bene, erano finiti tutti sotto intercettazione.

Infine spiegava come si sarebbero divisi i soldi: “… perciò Nicola dice, Peppino qua 200… 200 a Minà, 200 tu e 200 io… Nìcò il Signore glielo paga”. Una volta scoperto di essere finiti sotto inchiesta, i tre poliziotti  avrebbero studiato delle contromosse. Ad esempio quello di fare avvicinare da un collega uno dei due imprenditori che avevano denunciato: “Forse io ho un problema serio… con un tuo paesano.. ci ha chiesto aiuto, abbiamo avuto modo di aiutarlo, e deve essere stato lui, però al momento non so niente… abbiamo commesso un abuso… per cui io posso pensare… lui ci ha fatto pagare, e poi Nicol ino, il mio collega quello che… ha osato, ha osato, per questo forse, lui, si andò a rivolgere ai carabinieri alla procura”.

Minà ipotizzava soluzioni estreme: fare sparire le prove dei controlli da loro eseguiti: “… io il verbale non lo faccio trovare, chiaro? Devo levare le prove, il verbale non lo faccio trovare”.

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12 Ottobre 2016, 16:43

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