24 Novembre 2017, 06:00
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PALERMO – Il patrimonio, gli enti, la politica e i parenti. E’ tutto lì. Per il giudice che ha disposto il sequestro di buona parte del loro tesoro, la vicenda dei Genovese è legata anche al processo sui cosiddetti “Corsi d’oro” nella Formazione che ha già portato, esattamente dieci mesi fa, pesanti condanne per gli esponenti di quel nucleo familiare.
Quella che scattano i magistrati messinesi, insomma, che indagano per riciclaggio ed evasione, è una specie di “foto di famiglia”. Spesso con gli stessi protagonisti a muoversi tra diverse vicende giudiziarie legate fra loro. Francantonio Genovese è indagato insieme al figlio Luigi, alla moglie Chiara Schirò, al cognato Francesco Rinaldi, alla sorella Rosalia e al nipote Marco Lampuri. Una rete strettissima, che affonda le proprie radici nel passato.
“Questo procedimento – scrive il Gip Salvatore Mastroeni – vede operare una dinastia, con tre generazioni implicate, di cui il primo indagabile (teorico) è Luigi Genovese senior, in realtà deceduto e con un ramo collaterale ancora più nobile, avendo riguardo a un soggetto più volte deputato alla Camera”. E a Francantonio, viene contestata una “impressionante attività di dismissioni, avvalendosi appunto di figli e nipoti (non potendosi certamente fidare di estranei)”. Il cuore dell’indagine è tutto lì: per far “rientrare” il tesoro di famiglia originato, secondo l’accusa, da una mega-evasione del padre Luigi, Francantonio si sarebbe “servito” degli altri parenti. Ai quali sono stati trasferiti palazzi, case e quote delle società di famiglia.
Il vincolo familiare, insomma, è al centro di tutto. E in effetti, il Gip parla di “fitta e complessa attività di trasferimento di denaro, intercorsa principalmente tra l’indagato Francantonio Genovese e i suoi congiunti”. Nello specifico: “la moglie Schirò Chiara; i figli Genovese Luigi e Genovese Angela; la sorella Genovese Rosalia; i nipoti (figli di Rosalia) Lampuri Marco e Rizzo Daniele”, oltre alle società riconducibili sempre alla famiglia “nonché altri soggetti, comunque vicini al nucleo familiare dell’indagato, e sottesi all’adempimento di contratti di compravendita, di locazione e fatture varie”.
Tutte operazioni, si legge nell’ordinanza di sequestro, finalizzate “all’occultamento del proprio patrimonio” Un patrimonio che poggiava anche sul gioiello di famiglia, ossia la Caronte tourist, la società che da decenni gestisce i traghetti sullo Stretto di Messina. “Veniva, inoltre, – aggiunge il Gip – in luce la rete delle persone che, in concorso con lo stesso (Francantonio Genovese, ndr), agevolavano tali manovre. Si tratta in prevalenza – sottolinea il Gip – di membri del proprio nucleo familiare, dei quali pure si era avvalso per commettere gli illeciti che hanno portato alla condanna nei procedimenti denominati ‘corsi d’oro’”.
Procedimenti che portarono a pesanti condanne e a un mezzo terremoto politico. In quell’occasione, le indagini, dirette dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita (proprio ieri nominato procuratore aggiunto a Catania) e dai pm Camillo Falvo, Fabrizio Monaco ed Antonio Carchietti, avevano fatto emergere l’esistenza di un vero e proprio “sistema” che si basava sulla famiglia guidata da Francantonio Genovese, e grazie al quale venivano gonfiati i prezzi delle prestazioni di servizio o degli acquisti di beni necessari per l’attività degli enti di formazione che ruotavano attorno alla stessa famiglia.
Grazie ad alcuni artifici – spiegarono i pubblici ministeri – i rappresentanti legali dei centri di formazione, attraverso la compiacenza dei titolari di alcune società con i quali erano legati da vincoli di parentela o di fiducia, riuscivano a documentare spese a prezzi notevolmente superiori a quelli di mercato. Gli enti avrebbero così ottenuto finanziamenti per importi di gran lunga superiori ai costi effettivamente sostenuti. Soldi che sarebbero andati a rimpinguare il tesoro di Genovese. Accuse, quelle, poi confermate in primo grado dalla sentenza di condanna a 11 anni per Francantonio Genovese, a 3 anni e 3 mesi per la moglie Chiara Schirò, a 2 anni e mezzo per Franco Rinaldi e a 6 e a 3 mesi per la moglie di quest’ultimo Elena Schirò. Una presunta truffa, insomma, che si basava sui rapporti di famiglia.
Già nel marzo 2014, così, la Procura di Messina aveva chiesto l’arresto di Francantonio Genovese, già deputato nazionale. Due mesi dopo la Camera, al termine di furiose polemiche politiche, ha autorizzato la richiesta di arresto. Sia Genovese – che era stato anche segretario regionale in Sicilia del Partito democratico – che Rinaldi poi, hanno deciso di passare a Forza Italia. E proprio nella lista dei berlusconiani, alle ultime elezioni regionali, si è candidato, ottenendo l’elezione grazie al risultato clamoroso di 18 mila preferenze, quello che il Gip Mastroeni ha definito “l’erede designato”, cioè Luigi. A confermare che tutta la vicenda ruota attorno al patrimonio familiare e si regge e si è retta sui rapporti di parentela.
Quelli finiti nell’inchiesta della Procura di Messina, sono anche e soprattutto “affari di famiglia”: “I soggetti che hanno operato, oltre che avvinti da un vincolo familiare (che probabilmente ha schermato, questa volta alla procura, un aspetto associativo a delinquere), appaiono con costanza e ripartizioni di ruoli definita – aggiunge il magistrato – autori di comportamenti connotati dalla massima consapevolezza rispetto allo schema delittuoso che si andava a comporre. La circostanza che le condotte siano compiute da più componenti di un medesimo gruppo familiare – conclude il Gip – aggrava semmai la loro posizione”.
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24 Novembre 2017, 06:00