24 Marzo 2024, 06:30
5 min di lettura
Manhattan, New York. Bellissima giornata di sole di metà marzo. Ti ritrovi a passeggiare in un mondo che sia nella sua orizzontalità che verticalità si erge maestoso e perfetto. L’occhio cattura spazi vasti, file di grattacieli, luoghi iconici ed altri meno conosciuti. Un’energia che sembra uscire insieme al fumo dal sottosuolo ti avvolge e ti fa camminare, pensare, sognare. Lasci andare il fluire dei pensieri. Puoi permetterti anche qualche momento di distrazione: non ci sono escrementi di cane da scansare né buche o cumuli di immondizia da evitare. Puoi solo, talvolta, percepire l’urto di spalla contro spalla delle persone di ogni razza, colore, nazionalità che incrociano il tuo cammino.
Eppure, la mente ritorna alla sporcizia ed alle buche e ti chiedi: perché? Perché qui non ce ne sono? Perché le nostre strade ne sono invece piene? Dipende dalle amministrazioni? Sicuramente. Ma dipende molto anche da noi. È come se, in una sorta di adattamento al ribasso, ci fossimo disabituati alla bellezza. Schiller già nel XVIII secolo rivendicava l’importanza della sensibilità estetica per formare cittadini capaci di vivere e partecipare efficacemente in una società sana. Abitare nelle città non significa semplicemente “starci dentro”. Abitarvi è anche agire, partire dalle cose che in esse si trovano e provare a cambiarle se non ci piacciono.
Ogni cittadino dovrebbe acquisire la consapevolezza che con il proprio apporto può contribuire alla costruzione della società. Partecipare, non ritrarsi, fare e non solo lasciar fare. Nonostante la mortificante immagine delle nostre strade degradate, ti ritrovi a sorridere perché scopri di riuscire ancora ad indignarti. E pensi che se c’è una cosa che vorresti trasmettere ai tuoi figli, quella è il moto dell’indignazione nei confronti della bruttezza, dell’incuria, dell’inciviltà; non l’indignazione fine a se stessa come semplice reazione morale, ma quel sentimento civile dal quale germoglia il coraggio della contestazione, il rifiuto di essere complici, l’impegno di contribuire a cambiare le abitudini consolidate che passano per normali.
I pensieri vengono interrotti dall’arrivo alla stazione della metropolitana cui eri diretta. Le amministrazioni newyorkesi, per limitare l’uso delle automobili, hanno puntato molto sul rinnovamento dei treni e sul potenziamento della rete, con l’obiettivo di una città più sostenibile, pulita e sicura per pedoni e ciclisti. Chissà quanto sarebbe bella Palermo se si provasse a farlo anche qui. Ripensi allora a quella famiglia giapponese che pochi anni fa scelse la Sicilia come meta “esotica” per trascorrere una parentesi di un anno. Per raggiungere con i mezzi pubblici la scuola in centro città dalla villa presa in affitto lungo la costa dell’Addaura (non più di dieci chilometri) mamma e figlia si alzavano all’alba. In qualche mattinata più fredda, ferme ad attendere l’arrivo dell’autobus, il loro pensiero sarà sicuramente andato ai confortevoli vagoni del treno che collega Osaka e Tokyo: cinquecento chilometri in meno di tre ore ed una puntualità assoluta.
Eppure, il soggiorno in Sicilia della famiglia giapponese si è protratto ben oltre l’anno previsto. Il clima, il sole, il mare, le bellezze artistiche e monumentali, il calore del popolo siciliano hanno avuto la meglio sull’efficienza del paese del Sol Levante. Appena esci dalla metro, giunta a destinazione, lo sguardo si perde. Manhattan vuol dire trovarsi davanti a panorami urbani ed umani sempre diversi. Hai davanti la maestosità del Central Park. Un’oasi in una foresta di edifici, fonte di ispirazione per scrittori, musicisti, registi; dove puoi andare in bicicletta, in barca a remi, pattinare sul ghiaccio o, semplicemente, passeggiare per i sentieri ammirando lo splendore che ti circonda.
Guardi il Central Park e pensi al Parco della Favorita. Fermi la bicicletta e con una veloce ricerca su Google scopri che il “tuo” parco è addirittura più ampio ed immagini allora come possa diventare attraverso una mirata riqualificazione: luogo di bellezza, di tranquillità, di scoperte. Ed allo stesso modo, come la riconquista di spazi verdi nella tua città possa incidere positivamente sulla sostenibilità del nostro stile di vita. Esattamente come accade a Manhattan, in cui si percepisce l’alto valore sociale che rivestono per le amministrazioni e per la collettività gli spazi interstiziali verdi all’interno dell’ambiente urbano.
E ti soffermi a pensare che a questa bellezza, al decoro e all’efficienza di New York hanno contribuito anche i siciliani, quei siciliani che cercando un altrove radioso al di là dell’oceano hanno partecipato alla costruzione del grande sogno americano. Sei consapevole che il tempo delle migrazioni non è ancora finito. Ripensi ai ragazzi che hai osservato in questi giorni, riuniti a New York per un progetto – studio, che la sera si ritrovano a cantare a Times Square e di giorno si confrontano in dibattiti sui grandi temi internazionali e sociali con una grinta ed una competenza da lasciarti stupita. E percepisci con piacere che il futuro del mondo è nelle loro mani.
Probabilmente tanti di questi, anche siciliani, si allontaneranno dalla propria terra attratti da maggiori o più proficue opportunità di studio o di lavoro, oltre che da una migliore qualità della vita. Che giungeranno in America o in altro luogo in cui si sentiranno responsabilizzati, autonomi e, soprattutto, consapevoli che avanzeranno ai più alti gradi solo i meritevoli. E allora pensi a come diventerebbe la nostra terra se si riuscissero a creare le condizioni per un loro ritorno, al patrimonio di competenze ed esperienze che essi potrebbero apportare unitamente a quella capacità di indignazione che in Sicilia si tende a soffocare.
Gli incentivi fiscali predisposti per il “rientro dei cervelli” stanno in parte contribuendo all’obiettivo, ma vanno attuate specifiche politiche per fare in modo che il nostro possa finalmente diventare un Paese dove si lavori meglio e si punti sul merito. Programma ambizioso, forse, ma non irrealizzabile che richiede perseveranza e coerenza. Una pausa improvvisa interrompe il flusso dei pensieri. L’interruzione sembra dia luogo ad un altro percorso e ad altre riflessioni. Il viaggio sta per concludersi e come accade talvolta si ha la sensazione che qualcosa, più che avere fine, stia per avere inizio.
Viaggiare non è solo giungere ad una meta, è guardarsi intorno, è conoscere nuovi mondi, ma è anche ripensare alla propria terra, alle sue bellezze, alle sue contraddizioni, alle sue potenzialità. È comprendere che esistono strade diverse da quelle fino ad ora percorse, è volgere lo sguardo al futuro ed immaginare quelle bellezze, quelle contraddizioni e quelle potenzialità come le risorse dalle quali ripartire. Richiede impegno e tempo, ma ne vale la pena.
Pubblicato il
24 Marzo 2024, 06:30