22 Gennaio 2021, 06:00
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PALERMO – C’erano le spese per il funzionamento dei gruppi parlamentari e quelle di rappresentanza. E poi c’erano tutte le altre bollate come “personali” “ingiustificate” e”superflue” persino in un parlamento come quello siciliano di manica larghissima. Pochi controlli e molta confusione contabile.
Cosa c’entravano con la politica le maniglie delle porte di uno studio privato, i carré di seta, la spesa al supermercato e il barbecue? Niente, secondo i giudici della terza sezione del Tribunale di Palermo che hanno depositato le motivazioni della sentenza con cui hanno condannato, lo scorso luglio, Cataldo Fiorenza Gruppo Misto (3 anni e 8 mesi), Giulia Adamo Pdl, Gruppo Misto e Udc (3 anni e 6 mesi), Rudi Maira Udc e Pid (4 anni e 6 mesi), Livio Marrocco (Pdl e Futuro e libertà (3 anni), Salvo Pogliese Pdl (4 anni e 3 mesi). L’unico assolto è stato Giambattista Bufardeci, ex capogruppo di Grande Sud.
Il procuratore aggiunto Sergio Demontis e il sostituto Laura Siani, prematuramente scomparsa qualche mese fa, assieme ai finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria passarono al setaccio le spese dei capigruppo in carica dal 2008 al 2012.
Più di ottanta erano stati gli avvisi di garanzia per altrettanti onorevoli e impiegati. Una prima scrematura condusse i pubblici ministeri ad escludere dalle contestazioni le spese milionarie per gli impiegati. Un comportamento non immune dalla censura solo che tutti i capigruppo coinvolti avevano ricevuto in eredità la situazione. Insomma, era complicato pretendere che mettessero i lavoratori alla porta.
L’inchiesta ha seguito due percorsi paralleli. Davanti alla Corte dei conti la maggior parte delle persone chiamate a rispondere delle spese è stata condannata a pagare con sentenze definitive per il danno erariale provocato. In sede penale un paletto fu messo nel primo processo celebrato in abbreviato davanti al giudice per l’udienza preliminare Riccardo Ricciardi che dispose una serie di proscioglimenti vagliati dalla Cassazione.
Per potere contestare il reato di peculato dovevano essersi verificate due condizioni: “La prima è che vi sia prova del fatto che sono state effettuate da parte del parlamentare regionale delle spese attraverso i contributi erogati dall’Assemblea regionale siciliana in capo a ciascun gruppo parlamentare, mediante l’esibizione della relativa documentazione fiscale, contabile ed extracontabile”.
“La seconda condizione – scrisse il giudice Ricciardi – è che vi sia prova del fatto che quella spesa sostenuta dal parlamentare regionale e comprovata dalla documentazione fiscale acquisita agli atti, sia stata diretta a perseguire un fine non rispondente a quello istituzionale per il quale era stato in precedenza erogato il contributo, essenzialmente legato al funzionamento del gruppo parlamentare che ne è stato il beneficiario”.
Insomma, avrebbe dovuto essere il pubblico ministero a dimostrare che davvero quei soldi fossero stati spesi per fini non istituzionali e non l’imputato a doverli giustificare. Non si poteva ribaltare l’onere della prova. Prova che, secondo l’accusa, sarebbe emersa nel caso dei sei imputati. E il Tribunale ha accolto la ricostruzione della Procura.
All’attuale sindaco di Catania Pogliese, prima sospeso in virtù delle legge Severino e poi reintegrato dal Tribunale , venivano contestate due tranche di spese di 41 mila e 31 mila euro. Tra queste, 1.200 euro per la “sostituzione di varie serrature e varie maniglie per porte, con saldature varie ed aggiunzioni pezzi di canaletto per tenuta vetri, pulitura con flex nelle parti ossidate con passaggio di pittura antiruggine” nello studio catanese del padre, la permanenza in albergo con la famiglia e i suoceri, e 280 euro per la retta scolastica del figlio.
Pogliese si è difeso sostenendo di avere anticipato grosse somme di denaro al gruppo e che stava via via rientrando dei soldi che gli spettavano. “La confusione delle somme pubbliche con quelle del proprio patrimonio personale – motivano i giudici – senza una giustificazione contabile costituisce peculato, non trovando spiegazione plausibile l’affermazione difensiva che si sia trattato di rimborsi per compensare anticipazioni di somme fatte nell’interesse del gruppo”.
Dall’analisi contabile “si ricava che nei due conti (quelli del gruppo, ndr) Pogliese ha gestito una somma pari ad oltre 640.000” elargiti dall’Ars per il funzionamento del gruppo. Da qui la conclusione che “la tesi difensiva secondo cui i conti del gruppo versavano in una situazione di continua sofferenza risulta dunque non documentata ed anzi appare contraddetta dai movimenti registrati e gli estratti conto bancari analizzati dalla guardia di finanza”.
Tra le spese contestate a Giulia Adamo c’erano liquori e vini pagati con un assegno da 1.600 euro; 440 euro per una borsa Louis Vuitton, cravatte e carrè di seta Hermes per 1.320 euro, una borsa Bagagli da 145 euro. Secondo i giudici, “si tratta di finalità del tutto estranee all’attività parlamentare e sono risultate prive di coeva o successiva giustificazione contabile coerente con la finalità per cui era stato concesso il contributo utilizzato e con l’intera gestione dei contributi ottenuti”.
C’è un episodio che riguarda Adamo che da un lato testimonia quanto larghe fossero le maglie dei rimborsi e dall’altro che, nonostante il rigore della sentenza, molte spese sono rientrate nell’alveo dell’attività politica. Adamo ad esempio è stato assolta per l’acquisto di un portafogli Louis Vuitton regalato ai suoceri del deputato Aricò “che avevano messo a disposizione del gruppo un lussuoso appartamento a Palermo dove era stato organizzato su input del presidente della Regione Lombardo una sorta di festa di riconciliazione dopo alcuni contrasti politici che avevano caratterizzato quel periodo. A tale evento avevano partecipato numerosi onorevoli e lo stesso presidente della Regione”.
La spesa fu giustificata in contabilità con la voce “rimborso spese”. Seppure si trattò di un “evento conviviale” i giudici hanno ritenuto che “fu organizzato per ragioni politiche interne”. In ogni caso, se avessero dovuto affittare un locale avrebbero speso molto di più.
Altro particolare curioso è legato ai 300 euro che Giulia Adamo ha speso per comprare delle bottiglie di vino. Nel corso del dibattimento disse che si trattava di “un regalo per l’onorevole Miccichè”. Una circostanza smentita dallo scontrino datato 29 aprile 2010 visto che l’attuale presidente dell’Ars e allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri compie gli anni il primo giorno di aprile: “La spesa non può in alcun modo essere compresa fra quelle di rappresentanza del gruppo apparendo del tutto avulsa dal suo funzionamento e non motivata dal file di accrescere il prestigio dell’Ars”.
Rudy Maira si sarebbe fatto rimborsare le spese (48 mila euro e 29 mila) per il leasing della sua auto personale: una Audi A6 V6 3.0 Fap quattro Tiptronic. Ed inoltre circa 4 mila euro spesi in enoteca e in gioielleria per il regalo a un dipendente del gruppo. Soldi, secondo i giudici, “non riconducibili alle spese di rappresentanza”. E sulla macchina? “Maira ha detto di averla utilizzata per il gruppo, una tesi rimasta sostanzialmente contraddetta. Maira si è ben guardato tra l’altro dal precisare che il gruppo Udc nei due anni e mezzo in cui io però ebbe a disposizione ben 3 Audi A6 diverse da quella di cui si è detto”.
Per Livio Marrocco è arrivata l’assoluzione per l’evento organizzato il 19 luglio 2012 all’hotel Villa Igiea al quale presenziò l’allora presidente della Camera Gianfranco Fini. Fu una spesa di rappresentanza organizzata in prossimità dell’anniversario della strage Borsellino.
La condanna è invece arrivata per i 1600 euro spesi per alcuni regali, fra cui delle agendine Nazareno Gabrielli, l’acquisto di periodici e di 22 fumetti della serie Diabolik. Sono spese che, si legge nella motivazione, “appaiono palesemente estranee alla finalità per cui contributi erano stati concessi al gruppo e al presidente le cui giustificazioni sono stata a dir poco superficiali e poco pertinenti”.
Il peculato ha retto anche per 658 euro spesi per due soggiorni ad Acicastello e Palermo: “L’imputato in dibattimento ha genericamente sostenuto di aver richiesto il rimborso adducendo di avere partecipato a congressi di partito e ad una cerimonia di insediamento di un vescovo. Si tratta di giustificazioni tardive prive di adeguata documentazione o di attendibili riscontri probatori e soprattutto estranee alle logiche agli scopi per cui era stato concesso al gruppo il contributo unificato”.
Cataldo Fiorenza aveva acquistato 7 mila euro di carburante, 7 mila euro di vestiti, mille euro di gioielli, due mila euro di merce in supermercati, 1.200 euro di oggetti d’arredamento, fra cui un barbecue, 4 mila euro di libri, assicurazioni e servizi in centri estetici, 4 mila in ristoranti e quasi 8 mila in viaggi e alberghi. Sulla sua posizione il tribunale scrive: “Di lapalissiana evidenza l’assenza di qualsiasi inerenza funzionale alle esigenze del gruppo delle spese in centri estetici o in gioielleria e di tutte quelle dirette a soddisfare bisogni personali del Fiorenza o di altri suoi conoscenti o comunque di regalie disancorate da eventi di natura istituzionale”.
L’unico assolto è stato Bufardeci a venivano contestate spese per 1.963 tra cui un soggiorno dell’onorevole Scilla e alcuni rimborsi chiesti dall’onorevole Mineo. Nel suo caso “non c’è la prova al di là di ogni ragionevole dubbio che sia lui ad avere fatto la distrazione dei fondi”.
Si tratta di una sentenza di primo grado. Gli imputati attendevano di leggere le motivazioni per presentare ricorso in appello, certi di avere sempre rispettato le regole e alla luce del fatto che non c’era una regolamentazione per le spese. Sul punto il Tribunale conclude che “i deputati erano pienamente consapevoli che si andava a utilizzare denaro pubblico destinato a garantire l’autonomia finanziaria dei gruppi parlamentari” tanto che serviva una giustificazione contabile. Altrimenti “sarebbe bastato dividere i contributi e dunque ricorrere a una mera operazione aritmetica”.
La nota di Giulia Adamo: “Le motivazioni della sentenza di primo grado che riguarda il c. d. processo “spese pazze all’ARS” evidenziano l’assenza di ogni interesse di natura personale da parte mia. Il Tribunale mi ha assolta da alcune imputazioni, procedendo nell’opera di diminuzione delle somme inizialmente contestate circa da € 18.000,00 ad € 11.000,00, così come già avvenuta in altre fasi dal procedimento. Tra queste spese oggetto di assoluzione c’è la famosa borsa Louis vitton (che in realtà era un portafoglio) donata, allorquando io ero presidente del gruppo PDL Sicilia, alla proprietaria di un Palazzo dalla stessa messo a disposizione per un Convegno politico. Nell’occasione I gruppi parlamentari organizzatori dell’evento, e per essi l’ARS, risparmiarono il maggiore affitto di un locale. Preciso che nessuna borsa Bagagli è stata mai oggetto di contestazione. Semmai risulta un acquisto di non meglio precisata merce presso Bagagli, da me non sostenuto. Da me non sostenuti sono anche gli acquisti delle cravatte, acquistate dal vice presidente del gruppo UDC ed inspiegabilmente a me addebitati dal Tribunale, nonostante la chiara dimostrazione del contrario nel corso del processo. Riguardo le cassette di vini, è emerso nel corso del processo che si è trattato, non di acquisti personali, ma di regali a personalità politiche e non, con cui tutti i componenti del gruppo, non solo la scrivente, si relazionava nell’interesse dell’ARS e del popolo siciliano. Infine, desidero ricordare che io ho lasciato in giacenza sui conti dei gruppi la mia indennità di Presidente(regolarmente e legalmente fruita dagli altri Presidenti), pari a più di € 140.000,00 e che l’ammontare delle spese cui le motivazioni della sentenza fanno riferimento, € 11.000,00 circa, sono di gran lunga inferiori. Con tutta evidenza gli acquisti sono stati effettuati con parte minima delle mia indennità lasciata nelle casse dei gruppi, così come emerge dalla relazione della Guardia di Finanza agli atti del processo. La mia difesa è già a lavoro per appellare la sentenza che, per quanto riguarda la condanna, ritengo profondamente ingiusta, auspicandomi che questa spiacevole vicenda si concluda positivamente per come si è conclusa, dopo una condanna di primo grado, per altri presidenti dei gruppi ARS per fatti analoghi e riferiti alla stessa XV^ legislatura”.
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22 Gennaio 2021, 06:00