16 Luglio 2018, 19:05
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PALERMO – Il decreto ingiuntivo era di quelli in grado di “rovinare” una famiglia. Alla fine, però, è arrivato un netto “sconto” con una sentenza che punta il dito contro la banca. La vicenda riguarda due signore, madre e figlia, di Partinico, in Provincia di Palermo, che si sono viste recapitare nel 2008 un decreto ingiuntivo con il quale veniva richiesto loro di pagare oltre 600 mila euro ad un istituto di credito.
Si trattava di un credito che la banca vantava nei confronti di una società cooperativa collegata ad un loro parente, poi fallita, per le quali le due signore avevano sottoscritto, ingenuamente, nel 2002, una fideiussione a garanzia del conto corrente.
Le due signore rimanevano basite da tale richiesta, che le vedeva responsabili del debito della società fallita. Si trattava di un credito che avrebbe messo a rischio i loro beni personali, con ripercussioni devastanti. Infatti, nel frattempo, erano cominciate le procedure esecutive e la loro casa veniva messa a rischio.
Le signore decidevano allora di rivolgersi a un legale, l’avvocato Alessandro Palmigiano, esperto di diritto bancario, che insieme alla collega Licia Tavormina, iniziava una causa davanti al Tribunale di Palermo.
Già in primo grado il giudice riduceva l’importo a 450 mila euro; tuttavia, proprio perché convinte delle proprie ragione e del fatto che il credito dovesse essere ancora maggiormente ridotto, le due signore proponevano appello, sempre con l’assistenza dello studio Palmigiano.
I legali hanno infine dimostrato, anche attraverso la presentazione di una relazione da parte di un esperto, che la banca, utilizzando delle clausole nulle, aveva applicato interessi passivi anatocistici, nonché ulteriori costi per la commissione di massimo scoperto.
Il credito vantato dalla banca insomma doveva essere di gran lunga ridotto, anche perché, nel frattempo l’istituto di credito aveva già ricevuto 163.000,00 euro dal fallimento della cooperativa. La banca difendeva la propria posizione, rilevando non solo l’insussistenza dei lamentati vizi dei contratti, ma anche la fondatezza della somma richiesta.
La Corte d’Appello di Palermo, Presidente Michele Perriera, relatore Emma De Giacomo, con una sentenza pubblicata la scorsa settimana, ha dato ragione alel signore e alle ragioni poste dall’avvocato Palmigiano.
La Corte “accertata l’usurarietà originaria del tasso di interesse debitorio applicato e dichiarata la nullità dello stesso e della capitalizzazione trimestrale” ha rideterminano il saldo del conto corrente ed ha stabilito che, effettuati i conteggi, la somma dovuta dalle sue signore è di poco più di 51.429,00.
“Sono soddisfatto del risultato – ha dichiarato l’avvocato Palmigiano – perché la Corte è intervenuta in maniera netta e chiara su una vicenda che rischiava di mettere in difficoltà le signore, cassando le prassi scorrette che, purtroppo, ancora qualche banca continua a porre in essere”
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16 Luglio 2018, 19:05