Cronaca

Diario di un siciliano in Ucraina: le rose, Olena, la guerra delle donne

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28 Luglio 2024, 07:45

5 min di lettura

Antonio Giordano, cronista di Livesicilia, è stato in Ucraina nell’inverno del 2022-2023 e nella primavera del 2024. Ha visitato Kyiv, Dnipro, Odessa, Novhorod Severskij, Sumy e L’viv come membro delle spedizioni dell’associazione EUcraina, per portare aiuti umanitari alla popolazione colpita dai bombardamenti russi e creare legami con la società civile ucraina. QUI la prima puntata

KYIV – Olena coltiva le rose davanti all’ingresso della sua scuola, una piccola striscia di terra nel cemento della periferia di Dnipro. Il roseto sta ancora crescendo e Olena, che della scuola è la preside, può annaffiarlo solo se c’è la corrente elettrica, che arriva a singhiozzo secondo il capriccio dei russi e dei bombardamenti alle infrastrutture energetiche. Olena però non è preoccupata: “In primavera le rose fioriranno”.

Sotto la terra all’ingresso della scuola, sotto uno strato di asfalto e cemento, si sviluppa un bunker per più di mille persone e con un piccolo alloggio per animali. Tutto il quartiere si ripara qui quando i russi decidono di lanciare un missile sulla città, e Olena è responsabile di tenere il rifugio in efficienza e di assicurare la sicurezza degli alunni e degli abitanti del quartiere.

Sicurezza non solo fisica. Nel bunker c’è il wifi, c’è un angolo giochi per i bambini, ci sono televisioni e giochi di società per i grandi. Perché un bombardamento può lasciare illeso il fisico e la casa ma devastare lo stesso una persona.

Prima linea

La prima linea creata dall’invasione russa dell’Ucraina: gli uomini con le armi in pugno, le donne con tutto il resto, a gestire, organizzare, aiutare, esporsi in prima persona. Ciascuna dalla propria posizione, e secondo quello che può fare.

Sbaglierebbe chi pensasse che la guerra, in Ucraina, è una questione solo di eserciti, movimenti militari e decisioni politiche. Le donne, anche quando si tengono lontane dal fronte – ma sono sempre di più quelle che decidono di indossare la mimetica – sono sempre impegnate in qualcosa che può aiutare le forze armate ucraine.

Magari solo aiutando i reduci e le loro famiglie. Oppure trovando materiali, vestiti, medicine. O facendo bene il proprio lavoro, in un ospedale, in una scuola o in una delle migliaia di associazioni nate per sostenere lo sforzo ucraino. L’attacco della Russia è vissuto dagli ucraini come un attacco alla propria stessa esistenza, e la risposta corale è dedicare l’esistenza a respingere gli invasori.

Un tentativo di resistenza

A Novhorod Severskij, la comunità più a nord dell’Ucraina, i russi sono arrivati alle cinque del mattino del 24 febbraio. Sono passati dalla periferia e hanno continuato sulla strada per Kyiv, lasciando due carri armati a presidiare. Le forze ucraine si sono ritirate, lasciando la difesa della cittadina alla sua sindaca e ad altre sei persone, i suoi assessori e il capo della prigione.

In quelle ore, racconta la sindaca, non si aveva nessuna idea di cosa stesse succedendo. Lo stesso, si doveva fare qualcosa per proteggere il più possibile i cittadini. La sindaca e il suo staff sono riusciti a raccogliere duecento cacciatori e a organizzare una forza di difesa.

“Per fortuna non ce n’è stato bisogno – racconta nel suo ufficio – ma non potevamo restare ad attendere che i russi decidessero che fare di noi. Avevamo bisogno di avere una forza su cui contare, almeno un tentativo di resistenza”.

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I russi poi si ritirarono, ma lasciarono tracce. Due scuole di Novhorod Severskij oggi non esistono più, prese di mira dall’artiglieria russa. C’erano nascosti dei soldati ucraini, dissero le autorità militari russe. Oggi sono rimaste solo delle mura pericolanti nel pieno centro della città.

Non c’è acqua per voi

Più avanti sulla strada per Kyiv i russi, nel febbraio del 2022, passano per il villaggio di Troitske. Si accampano in mezzo al bosco, fanno vibrare la strada con una fila interminabile di carri armati che poi sarà costretta a fermarsi a Chernihiv dopo combattimenti furiosi.

Uno dei soldati russi quel mattino va in giro per il villaggio in cerca di una sorgente, o comunque di un posto in cui trovare dell’acqua. Una donna – una babushka, come si dice qui – racconta di essere stata fermata dal soldato con la richiesta di avere indicazioni su dove trovare un po’ d’acqua.

“Non c’è acqua qui per voi – risponde la donna – perché siete venuti?”. Il soldato, racconta lei, balbetta due frasi: sono gli ordini, non possiamo opporci. La donna si rifiuta di rispondergli, gli gira le spalle e se ne va, lasciandolo assetato, pesante e solo.

Nel piccolo giardino davanti al centro sociale del villaggio oggi c’è uno strano monumento. In cima a un basamento ci sono le statue di tre uccelli in plastica. Una delle donne del villaggio sorride: prima lì c’era la statua di un politico russo, è stata lei stessa a sostituirla.

Tre giorni

Nel suo ufficio di Kyiv, Daria racconta il suo lavoro. Da direttrice esecutiva di Antac, organizzazione non governativa che lotta contro la corruzione in Ucraina, Daria prende tutte le decisioni per fare funzionare le campagne per costruire una buona governance in Ucraina. Parla di riforma del sistema giudiziario e di rendere pubbliche le informazioni su proprietà, asset finanziari e redditi di tutti i parlamentari, i giudici e i funzionari pubblici.

Questo lavoro, dice Daria, è anche per costruire l’ingresso dell’Ucraina in Unione Europea. Ad Antac interessa che il processo di adesione ucraino sia più trasparente possibile, con istituzioni funzionanti e rispetto delle regole. “L’ingresso nell’Ue – dice – è parte integrante di una vittoria ucraina sulla Russia“.

La vita di Daria si sovrappone alla storia recente ucraina per la tensione continua verso L’Unione Europea. Daria racconta di come ha deciso di partecipare alle rivolte dell’Euromaidan, che costrinsero alle dimissioni l’allora presidente ucraino Janukovych dopo la sua decisione di sospendere le trattative per un accordo di libero scambio tra Ucraina e Unione Europea.

“L’Unione – dice Daria – era una grande opportunità per l’Ucraina. Quando il presidente si rifiutò di firmare l’accordo io e la mia generazione avevamo un’alternativa: potevamo batterci oppure andare via per costruire una vita di dignità altrove. Io semplicemente volevo la dignità e la volevo qui e ho deciso di restare”.

Daria poi racconta di avere incontrato alcuni alti funzionari statunitensi, dopo l’invasione russa, e di avere chiesto perché non avessero da subito predisposto delle spedizioni di armi e risorse. “MI rispondevano sempre la stessa cosa – racconta – nessuno si aspettava che l’Ucraina durasse più di tre giorni”. Se invece dura da due anni si deve anche a persone come Daria.

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28 Luglio 2024, 07:45

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