06 Agosto 2014, 06:00
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PALERMO – Furono le conversazioni ascoltate segretamente dalla polizia all’interno dello studio dell’imprenditore valdericino Tommaso Coppola a fare scoprire agli investigatori antimafia che mentre loro indagavano sulle connessioni tra mafia, politica e impresa a Trapani, a Patti la Procura aveva avviato un’indagine analoga. C’è anche l’inchiesta della Procura di Patti all’interno dell’ordinanza di sequestro dei beni che ha riguardato gli imprenditori trapanesi Domenico e Pietro Funaro. I giudici del Tribunale delle Misure di Prevenzione scrivono a proposito dell’esistenza di una rete di imprese in contatto o vicine a Cosa nostra per pilotare l’aggiudicazione degli appalti: “Non può sottacersi il compendio indiziario costituito dall’indagine svolta dalla Procura della Repubblica di Patti. Anche in quel contesto territoriale il Funaro (Pietro ndr) si è dimostrato consapevole partecipe di un sistema di spartizione degli appalti pubblici attraverso la partecipazione con domande di appoggio destinate ad influire sull’esito dell’aggiudicazione”.
Proprio durante quelle intercettazioni i poliziotti sentirono parlare Coppola con altri soggetti e sentirono anche come un rumore di pagine che venivano sfogliate. La deduzione dei pm è che si stesse parlando di quella indagine della Procura di Patti. Parlavano sicuri del fatto loro, certi che le inchieste erano destinate ad avere un esito a loro favore: “Quattro amici a disposizione ancora li abbiamo”.
Tommaso Coppola non era uno qualunque. Per i pm era il regista degli appalti della mafia trapanese. In quel colloquio Coppola parlava delle indagini di Patti con l’imprenditore agrigentino Michele Giangreco. I poliziotti ascoltarono anche i nomi degli indagati, fra questi Carmelo Agnello, arrestato nel 2003 nel corso dell’operazione ‘Icaro’ dalla polizia di Messina, e i fratelli di Santo Stefano di Quisquina Giuseppe e Domenico Mortellaro, prontamente “difesi” da Coppola: “Questi poverini… sono coinvolti pure questi…ma non penso… persone serie”.
Indagini che toccavano anche Pietro Funaro, ritenuto dai magistrati messinesi legato all’imprenditore di Favara Giovanni Milioti, un altro di quelli che assicuravano a Coppola offerte di comodo per gli appalti trapanesi. Durante quelle intercettazioni ascoltarono comunque una certa preoccupazione che Funaro aveva a proposito delle indagini che giorno dopo giorno andavano avanti. A parlarne con Coppola i poliziotti ascoltarono la voce di un avvocato trapanese, Carmelo Castelli. Castelli spiegava che vi erano molti imprenditori che erano preoccupati in ragione di alcuni incanti che si erano aggiudicati: “Mi hanno detto che i suoi… i suoi colleghi sono spaventati…ce ne sono alcuni che sono spaventati…questo Funaro è spaventato a morte… per esempio, tanto per dirne uno…”.
E i giudici trapanesi, prendendo spunto da questo spaccato, aggiungono: “Tirando le fila del discorso, entrambi i proposti (Funaro ndr) sono consapevoli partecipi del mondo degli affari gestiti dalla mafia attraverso imprenditori vicini e funzionari corrotti. Inoltre, sono pedine consapevoli di un mondo imprenditoriale in cui l’aggiudicazione degli appalti non avviene a caso, ma tocca a coloro che ne gestiscono e determinano le dinamiche”. I giudici hanno inoltre rimarcato l’appoggio che sarebbe stato fornito dai Funaro ad un altro imprenditore oggetto di un sequestro preventivo dei beni, Vito Tarantolo: “I Funaro sono persone che hanno consentito l’interposizione fittizia del Tarantolo nella società Elimi”. Pesante infine il giudizio finale dei giudici: “Persone che vivono abitualmente anche in parte con i proventi del delitto di turbativa”. “Siamo dinanzi a imprese – ha dichiarato ieri la vicedirigente della divisione anticrimine della polizia, Oriana Tubia – che nonostante tutto non si fermano nella loro illecita attività”. La prima udienza del procedimento è stata fissata per il prossimo mese di novembre.
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06 Agosto 2014, 06:00