31 Gennaio 2021, 06:01
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Un ragazzo e una ragazza si abbracciano in una foto, apparentemente felici. è l’immagine del primo femminicidio del 2021 in Sicilia, il settimo dal 2020 a oggi. Restano ancora tante le domande senza risposta sulla morte di Roberta Siragusa, la diciassettenne trovata, domenica scorsa, in un dirupo a Caccamo, in provincia di Palermo. Con l’accusa di omicidio è in carcere il fidanzato Pietro Morreale, 19 anni.
Troppo volte agli omicidi di donne sono affibbiate motivazioni con parole riferite all’amore. È bene ricordare che l’amore è altra cosa: non è possesso, sopraffazione e percosse. In altre occasioni, poi, i femminicidi sono giustificati: “Per la troppa gelosia” o per “la paura di perderla”. Una tragedia come quella successa qualche giorno fa a Caccamo deve far riflettere sull’importanza del prevenire e non rimediare, per eliminare la violenza sulle donne. Questo l’invito che giunge dal mondo dell’associazionismo impegnato in questo ambito. Voci concordi nell’insistere sulla necessità di sensibilizzare i più giovani.
“Chiediamo l’assunzione di responsabilità di tutte e tutti per scardinare un sistema culturale che alimenta la violenza contro le donne. Ognuno di noi può fare qualcosa”. Il Coordinamento Antiviolenza 21 luglio pone l’accento sull’importanza dei media che, a seconda di come è raccontato l’accaduto, possono orientare l’opinione pubblica. “Negli ultimi anni molto è cambiato nel modo in cui raccontiamo la violenza quando accade – dice – è il lavoro dei centri antiviolenza, di attiviste e attivisti, di giornaliste e giornalisti impegnati ma alcuni giornali ancora troppo spesso liquidano i femminicidi come un affare di famiglia, un atto di follia, un imprevisto (o al contrario qualcosa di prevedibile) in uno schema predefinito”. La gelosia, il troppo amore o il dolore per la fine di una relazione per il Coordinamento Antiviolenza 21 luglio non costituiscono il movente del reato di omicidio. “È la violenza maschile contro le donne il vero movente – sottolinea – un femminicidio non può essere giustificato da un raptus di gelosia o dal troppo dolore per la fine di una relazione, questo tipo di narrazione mette in atto un comportamento di vittimizzazione secondaria. La donna è ritenuta responsabile della violenza che subisce. Il gesto viene giustificato dal/dalla cronista e appare, quindi, socialmente accettato e accettabile”.
Oltre di un femminicidio si tratta di un liberticidio per Maria Grasso, presidente di DonneInsieme “Sandra Crescimanno” che fa parte dell’associazione Nazionale D.i.Re “Donne in Rete contro la violenza”. “Questo avviene quando la voglia di libertà di una donna cozza con la volontà di un uomo. Di femminicidi ne avremo ancora tanti purtroppo – aggiunge – se non estirpiamo il patriarcato. È una questione solo di potere, di pensare di avere in mano la vita delle donne. La violenza si combatte con un cambiamento culturale fin dalla scuola materna, insegnando il rispetto di genere”. Per la presidente del centro antiviolenza siciliano “non si tratta di essere uomini o donne ma di diritti, come il diritto di scegliere la vita che si vuole vivere e con chi la vogliamo vivere”. Fondamentale è l’insegnamento dell’affettività e della sessualità nelle scuole. “La rabbia è di non potere entrare in maniera sistematica nelle scuole con progetti strutturati”, evidenzia Grasso che pensa che si possa insegnare ad amare in maniera sana. “Cambiare la cultura significa cambiare il modo di vedere una donna”.
A Palermo del contrasto alla violenza di genere si parlerà martedì prossimo nella video-conferenza convocata dall’assessore alle Politiche sociali, Antonio Scavone, con il Forum. “La tragica morte di Roberta Siragusa – commenta l’assessore – ci riporta ancora una volta drammaticamente a un terribile, certamente per la famiglia inaccettabile, fatto di inaudita violenza contro le donne. Ho convocato il Forum contro la violenza di genere perché voglio capire se qualcosa nel sistema non ha funzionato –aggiunge – o se sia necessario apportare delle modifiche che possano individuare con maggiore tempestività il rischio. C’è un lavoro costante che il governo Musumeci sta portando avanti da anni – continua l’assessore – che ha visto un forte ampliamento delle strutture regionali per la presa in carico delle donne vittime di abusi e, nelle situazioni di particolare emergenza, per il loro ricovero immediato”.
Effettivamente il Forum permanente, istituito dalla Regione Siciliana con la legge regionale 3 del 2012, sembrerebbe aver subìto dei blocchi nell’ultimo anno, a causa della pandemia. L’organo consultivo è una sede che serve al dialogo e al confronto, dove da otto anni i membri esprimono pareri alla Giunta regionale sugli atti riguardanti gli indirizzi da adottare e sui contributi regionali. Oltretutto, dovrebbe essere un contenitore che accoglie proposte nell’ambito di prevenzione e contrasto alle molestie e alla violenza di genere. Per il contrasto al fenomeno, in Sicilia, dopo il Forum e l’Osservatorio, è nata di recente anche la Cabina di regia interistituzionale che ha il compito di definire in modo coordinato tutte le iniziative di prevenzione, assistenza, intervento, superamento degli episodi previste dalle iniziative di contrasto al fenomeno, oltre alla vigilanza sull’attuazione dei protocolli d’intervento.
Nell’Isola esistono 21 centri antiviolenza, 37 strutture a indirizzo segreto e 31 sportelli di ascolto. “Nonostante questo – dice Scavone – ancora una volta le cronache ci parlano di fatti tragici che coinvolgono donne, a volte poco più che adolescenti, vittime di tragici eventi. Con gli addetti ai lavori, con chi vive quotidianamente l’esperienza delle donne vittime di abusi martedì cercheremo di aggiungere qualcosa al nostro sistema di protezione, evidentemente qualcosa va aggiunto perché non succedano più fatti come quello di Roberta. Tra l’altro – termina l’esponente del governo Musumeci – il periodo di pandemia che stiamo vivendo costringe le persone a convivenze, a volte forzate, e proprio in questa fase con l’emergenza coronavirus che dobbiamo alzare al massimo il livello di guardia e fare capire a chi vive situazioni a rischio che a volte è sufficiente alzare il telefono perché si metta in moto il nostro sistema di protezione”.
Sempre in Sicilia per aiutare le donne in difficoltà è stato attivato un numero verde messo a disposizione dall’Asp durante il lockdown. Oltre a quello nazionale, il ‘1522’ istituito dal Dipartimento per le Pari Opportunità, a Palermo è operativo l’800397363. Al numero verde è stato affiancato uno di cellulare a cui rivolgersi anche con un semplice messaggio WhatsApp
L’ultimo caso del 2020 a Lentini, in provincia di Siracusa, dove la 39enne Giuseppina Ponte è stata uccisa dall’uomo che accudiva, un 82enne. In pieno lockdown, era la notte del 31 marzo, la giovane studentessa di medicina, Lorena Quaranta, è stata uccisa dal fidanzato: vivevano insieme da alcuni mesi a Messina e avevano deciso di trascorrere insieme la quarantena. A fine gennaio, l’omicidio di Rosalia Garofalo a Mazara del Vallo, nel Trapanese: la donna aveva 54 anni e in passato aveva già denunciato il marito violento. A gennaio anche il delitto di madre e figlia, in provincia di Caltanissetta: Rosalia Mifsud e la figlia, Monica Diliberto, sono state uccise dal compagno della donna. E più di dieci arresti, nell’Isola, sono già scattati per vari episodi di maltrattamenti in famiglia: l’ultimo a Partinico, nel Palermitano, dove un 43enne aveva aggredito per l’ennesima volta la moglie. L’ha fatto davanti ai figli che stavolta hanno chiamato i carabinieri e spinto la madre a raccontare ciò che subiva.
Allargando lo zoom, a livello nazionale, emerge anche che l’Italia resta indietro rispetto al panorama europeo, tra le cause ci sarebbero gli interventi non costanti. Nonostante la Convenzione di Istanbul fornisca linee guida giuridicamente vincolanti e crea “un quadro giuridico e un approccio globale per combattere la violenza contro le donne” ed è incentrata sulla prevenzione della violenza domestica, sulla protezione delle vittime e sul perseguimento dei colpevoli. La pubblicazione della Relazione sulla governance dei servizi antiviolenza e sui finanziamenti, della Commissione d’inchiesta incardinata al Senato, restituisce una fotografia sull’andamento dei reati riconducibili alla violenza di genere nel periodo compreso tra gennaio e maggio 2020. Numeri e dati aggiornati denunciano come la violenza contro le donne non è in regressione. Nel particolare, sono stati analizzati i reati spia afferenti alla violenza di genere e i delitti potenzialmente riconducibili a liti familiari, con specifico riguardo a quelli consumati in ambito domestico. Durante il lockdown, si assiste a una flessione dei reati spia, rispetto al 2019, mentre già dal mese di maggio si registra un nuovo aumento, che tuttavia si mantengono inferiori rispetto a quelli dello stesso mese dell’anno precedente. I delitti di maltrattamenti, atti persecutori e violenze sessuali, analizzati singolarmente, seguono tutti lo stesso trend generale. Gli omicidi si confermano in calo rispetto all’analogo periodo del 2019 (da 140 a 92); sebbene le vittime di sesso femminile restino pressoché invariate (45 rispetto a 44). Nel mese di maggio si registra un andamento altalenante dei reati, che aumentano rispetto ai mesi del lockdown, soprattutto in corrispondenza delle prime due riaperture del 4 e del 18 maggio, arrivando a superare i numeri dell’analogo periodo 2019. L’incidenza delle vittime donne, risulta in media più alta per la violenza sessuale e per gli omicidi, e si mantiene, invece, più bassa per i maltrattamenti e per gli atti persecutori.
In particolare focalizzandoci sugli omicidi, mentre nel 2019 le vittime donne costituivano il 32% degli omicidi totali, nel 2020 l’incidenza delle stesse si attesta al 48%. Medesimo trend si registra anche per gli omicidi in ambito familiare/affettivo che, pur in diminuzione (63 nel 2019 a fronte di 53 nel 2020), rapportati al totale degli omicidi evidenziano un’ascesa, infatti, mentre nel 2019 la percentuale era del 45%, nel 2020 sale al 58%. Sempre nel medesimo ambito, le vittime di sesso femminile passano da 36 a 40, con un’incidenza pari al 75% (57% nel 2019).
Numeri che raccontano una tendenza chiara che desta un profondo allarme sociale. La repressione non basta, serve un’attività culturale di prevenzione insistono esperti e associazioni. Intanto, un’altra famiglia piange la morte di una donna uccisa.
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31 Gennaio 2021, 06:01