07 Marzo 2019, 17:52

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Nelle scorse settimane il New York Times ha raccontato “Appunti per un naufragio” dello scrittore palermitano Davide Enia, edito Sellerio nel 2017. Il libro, che l’anno scorso ha ricevuto diversi riconoscimenti letterari in Italia, approda in America e cattura l’attenzione delle maggiori testate editoriali d’oltre oceano.

Dalla penna di Enia nasce un’opera che alterna il racconto del dramma dell’immigrazione nella cornice di Lampedusa a esperienze personali del giornalista volontario e di suo padre, ex medico e fotografo amatoriale, che si recano sul posto per poter raccontare.

Il giornalista Steven Heighton, che condivide con Enia una passata esperienza da volontario nell’isola, approfondisce le tematiche dell’opera e ne esalta gli aspetti migliori, come lo stile funzionale in bilico tra vero e proprio reportage e un racconto che non si perde in retoriche e che riesce a mettere al centro della narrazione le storie dei protagonisti, che diventano ora la dottoressa Gabriella, ora il marinaio Simone, e ora i migranti come Bemnet e tanti altri: emergono, così, le conseguenze emotive di un naufragio individuale e collettivo, dove chi vive quelle situazioni, o entra semplicemente a contatto con esse, si ritrova catturato nel grande paradosso del presente.

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Come suggerisce anche il sottotitolo dell’edizione americana del libro (“A Story of Refugees, Borders and Hope”), il messaggio principale è ispirato da un profondo senso di speranza che non può che essere necessaria in un contesto così problematico come quello che vivono gli abitanti di Lampedusa negli ultimi anni: nelle battute finali, il giornalista lo sintetizza paragonando le parole del protagonista rivolte allo zio morente con quelle di Martin Luther King Jr: “la scalata della nostra storia tende al bene, non è vero, zio?”.

 

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07 Marzo 2019, 17:52

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