Essere felici a Palermo

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04 Settembre 2011, 07:19

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C’è sempre un ponte, da qualche parte. C’è sempre una scelta. Il Ponte Corleone a Palermo è un luogo da cui non si fa ritorno. Da elemento occasionale, è diventato contorno essenziale per il suicidio, cornice simbolica. Impossibile pensarci e non rammentare l’impropria destinazione d’uso di certe anime sdrucite che lo percorrono. Vogliono mettere una rete di protezione ed è anche giusto. Ma la disperazione è liquida. Penetra le maglie. Trova fessure insospettate. “Il ponte, ogni ponte, è un posto particolare – dice la dottoressa Viviana Cutaia, psicologa dell’Afipress che in una città moribonda si occupa del tabù della prevenzione al suicidio -. L’altezza è un ingrediente suggestivo e tremendo. Quella vertigine che attrae e che può diventare caduta è una metafora”. Si ammazza un sacco di gente a Palermo disperatissima, però non si dice, non sta bene. “In estate abbiamo registrato un forte incremento – dice la dottoressa -. Sentiamo una speciale aria di tristezza che prima, forse, non c’era”.

Ecco. Il punto di crisi originario e l’approdo finale. Le biografie di chi compie gesti inconfutabili sono frastagliate. Narrano fratture differenti. Eppure – sottolinea la psicologa – spira un un vento depresso e condiviso. Lo respiriamo tutti. Ne siamo scossi tutti, anche se riteniamo di esserne immuni. Tutti assorbiamo il suo veleno. Il resto della storia è personale, ma la tragedia collettiva di una città che si sta, lentamente e inesorabilmente, inabissando è già un dato di cronaca che nessuno metterebbe in discussione. Ponte Corleone è solo uno degli sbagli potenziali, l’errore da cui non si riaffiora. Poi ci sono giornate vissute con malandata consapevolezza. L’angoscia intima che coincide con la vita sensibile si mischia ai miasmi di un cadavere in decomposizione, ai gas di scarico della putrefazione. E mica di un sogno, che sarebbe già qualcosa. Della realtà.

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L’unico antidoto alla marea nera che sale è cambiare lo sguardo dei ponti di Palermo. Non più trampolini di lancio per spiccare il volo contro sassi aguzzi. Assassiniamo gli schianti, con la speranza. Per quanto ciò possa risultare provocatorio o scandaloso: è tempo di essere felici. Davvero. La felicità, mentre soffia la tramontana del dolore, è un esercizio complicato. Si può raggiungere con l’impegno e con il coraggio. Basta cominciare a rifletterci su. Basta levigare la pietra contorta delle contraddizioni. Basta fissare un ponte e avere voglia di salirci, non per fermarsi. Per arrivare sulla sponda opposta. Palermo inabissata è piena di ponti che conducono a splendide ricerche di senso. Sono dappertutto. Le scarpe polverose che lievitano fino al santuario per rendere grazie a Santa Rosalia. I presidi e i professori in trincea tra lo Zen e altrove, asserragliati in classi con disegnini al muro e bambini da difendere. I volontari che soccorrono i più deboli. Ovunque ci sono spiriti indomiti che – ogni ora, ogni minuto – battono sul pezzo rovente per trarne un incanto nuovo. Incontrarli è semplice, perfino dentro una traversata sospesa. Sono quelli che non guardano mai giù.

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04 Settembre 2011, 07:19

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