16 Maggio 2021, 09:33
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La democrazia partecipativa è in crisi? O stanno emergendo nuove forme di partecipazione? Le nuove tecnologie della comunicazione la ostacolano o la facilitano?
Le interpretazioni di un tema così centrale alla vita sociale e politica possono essere distanti fino a risultare opposte. Secondo il costituzionalista Valerio Onida, il problema riguarda la crisi, ormai di lungo corso, della democrazia rappresentativa, non ascrivibile in toto agli errori dei vertici dei partiti e all’inadeguatezza delle strutture politiche tradizionali. Le opportunità offerte dalle nuove tecnologie hanno dilatato il concetto di “presenza”: sempre più persone sono autonomamente in grado di entrare in contatto con altri che condividono i medesimi interessi e obiettivi, e con le comuni strutture di riferimento.
Come rovescio della medaglia, la comunicazione virtuale può diventare un modo per sfuggire all’impegno personale, tacitando i moniti della coscienza civica con l’alibi di aver messo un click o condiviso un post; un commento, anche il più disimpegnato, assurge a strumento partecipativo, rinforzando il convincimento di esternare un’opinione che conti.
Ma davvero mettere un like significa partecipare? Secondo il sociologo Alberto Marinelli, le tecnologie di rete investono molti aspetti della quotidianità; sono pervasive, facili da usare, hanno cambiato le modalità di esperienza del mondo e di accesso all’agone pubblico. La parola che descrive la pulsione verso un tema, una causa, una persona o un marchio, è “engagement”, il cui significato non può limitarsi a quello lessicale di “legame emotivo”. Il termine, mutuato dal marketing, definisce la partecipazione civica, ma non ne copre le complesse dinamiche: corrisponde a uno spazio consistente sebbene virtuale, a una piattaforma sociale nella quale si attivano percorsi, si evidenziano valori, si incontrano le esigenze dei singoli e i progetti delle amministrazioni; è una modalità attiva che varia di intensità ma è sempre “on”: è immediatezza, e più i risultati sono immediati, più sarà alto il livello di coinvolgimento. È un processo caratterizzato da appartenenza, empatia, condivisione di valori e obiettivi, che si autoalimenta: conseguire un risultato alla cui definizione si è presa parte attiva, aumenta la soddisfazione e favorisce il rinnovo dell’impegno.
Engagement non significa tout court partecipazione: mettere un like, condividere un contenuto o un simbolo comodamente seduti a casa, non equivale, ricordiamolo, a una assunzione di responsabilità. Sono atti che manifestano disponibilità, ma facilmente “cancellabili” senza che ne consegua una sanzione; sono discontinui e soggetti a repentini cambiamenti di idee. Ciò non ha impedito che l’engagement sia diventata la forma di partecipazione tipica di chi utilizza le tecnologie di rete, in grado di coordinare i cittadini fino a strutturare un’azione collettiva. In caso di emergenze o catastrofi, oppure su tematiche di grande impatto sociale, potrebbe trasformarsi in un impegno civico concreto.
Questo variegato orizzonte di possibilità è un campo di ricerca inesauribile e tutto da esplorare. Nel report The social media political participation model pubblicato nel 2020 da “Convergence: The International Journal of Research into New Media Technologies”,Knoll,Matthes e Heiss sostengono che anche se è evidente che l’utilizzo dei social media sia in grado di promuovere la partecipazione politica, c’è una mancanza di teorie sui processi psicologici alla base di questa interrelazione. Il saggio vuole colmare la lacuna proponendo un modello per analizzare una serie di processi che dimostrino come e quanto l’uso dei social media influenzi la partecipazione politica, spiega come integrarlo con indagini ed esperimenti, ma conferma sostanzialmente che è una ricerca le cui variabili sono in continuo mutamento.
Che si tratti di un settore in divenire emerge da ogni studio contemporaneo sull’avanzamento della “democrazia elettronica” a fronte della crescente crisi della democrazia parlamentare. I cittadini hanno sempre più l’impressione che i meccanismi che governano la politica siano sganciati dagli interessi della comunità. Assunto che la democrazia sia proprio questo – un sistema nel quale una comunità si autogoverna, condivide valori comuni, si confronta sulle scelte e si dà gli strumenti per orientare le istituzioni – se questi strumenti non funzionano, la democrazia elettronica potrebbe apparire un’apertura a nuove forme di partecipazione.
La mediazione tecnologica non opera in alcun modo in funzione sostitutiva della realtà; le forme di democrazia diretta che conosciamo, sia attraverso strumenti tradizionali come le schede di un referendum, o innovativi come un voto online, consentono di rispondere sinteticamente, sì o no, a quesiti precisi, ma non sostituiscono il dibattito e il confronto necessari prima di operare scelte importanti su temi complessi. Tuttavia, social network, blog, testate online, e altri strumenti di comunicazione mediati dalla rete, costituiscono ormai i canali più ampiamente impiegati nel rapportarsi alla politica, pur se resti da stabilire se il modo di manifestare interesse per la politica da parte di un “utente”, più che di un cittadino, solleciti poi nel soggetto la propensione verso una partecipazione attiva.
Il fenomeno esiste; ignorarlo è un enorme errore; sottovalutarlo, implica lasciare gli orientamenti dell’opinione pubblica in balìa a soggetti occulti; per la velocità delle sue estrinsecazioni, sfugge agli schemi tradizionali della ricerca, che deve costruire i canoni necessari a inquadrarlo. La scienza sociologica ha creato la categoria dell’e-participation, la partecipazione mediata dalla rete che permette ai cittadini di avere un impatto sui processi decisionali attraverso mezzi elettronici. La partecipazione dei cittadini sul policy-making, ovvero sull’elaborazione degli orientamenti in merito alle questioni più rilevanti per la società, non è una novità, ma può essere ulteriormente stimolata attraverso l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), rendendola più accessibile, e più efficiente in termini di costi. L’uso delle TIC per implementare e approfondire la partecipazione politica, permettendo ai cittadini di connettersi tra loro e con i loro rappresentanti eletti determina la “e-participation”, strutturata in due categorie principali: iniziative guidate dal governo mediante piattaforme (e-participation Government-led) e iniziative guidate dai cittadini (citizen-led).Le iniziative guidate dal governo sono il voto elettronico, i sondaggi online o le piattaforme digitali, mentre le iniziative guidate dai cittadini sono i blog, i forum per comunicare le idee e confrontarle, le discussioni su piattaforme di social network come Facebook oTwitter, le aree di Internet ove i cittadini sono più attivi. Secondo Simonofski, Fink e Burnay, autori del recentissimo Supporting policy-making with social media and e-participation platforms data, apparso su “Government Information Quarterly” il 20 Aprile 2021, i contributi si articolano su due dei canali più popolari, i social media e le piattaforme di e-participation dedicate. Tuttavia, le idee, i commenti, le discussioni, generano talmente tanti dati che per elaborarli e incrociarli le tecniche di analisi sono insufficienti: questo dà l’idea di quanto velocemente muti il quadro di policy analyticsche supporta ogni fase del tradizionale processo di policy-making.
Il nesso tra politica e Internet richiede come presupposti la rimozione degli ostacoli all’accesso alla rete, e una piena coscienza di partecipazione democratica attiva. Se le TIC sisono rivelate uno strumento efficace per esprimere e amplificare il dissenso, non hanno la stessa valenza riguardo a un cambiamento della società: la tecnologia da sola non ha questo potere; o, almeno, non lo ha per ora; potrebbe accadere, anche in tempi prossimi, che la e-participation come pratica quotidiana di democrazia consegua successi “concreti”. In un futuro non lontano, se si consideri che i limiti della e-partecipation non sono causati dai modelli di partecipazione sperimentati fino a oggi, ma dalla distanza che ancora esiste fra questi strumenti e una parte consistente della società civile, la situazione potrebbe evolversi, e non sempre in meglio. In un’epoca in cui il divario avvertito tra i problemi del Paese e le risposte della politica non fa che aumentare, potrebbe avere un successo incalcolabile. In questo caso, resterebbe libera da condizionamenti?
Le istituzioni dovrebbero focalizzare l’attenzione sulla necessità, in un periodo storico come quello odierno, in cui è diffusa la sfiducia nelle istituzioni tradizionali, di radicare e coltivare nel cittadino il sentimento di appartenenza alla compagine civile e di accrescerne la partecipazione alla fase delpolicy making. In buona sostanza, non è il progresso tecnologico a fare il buon cittadino, come non è la sola causa del cambiamento della società; ma bisogna rendersi conto che il fenomeno della e-participation è solo al suo inizio: pessimisti o ottimisti che si sia, resta il fatto che è lo strumento di partecipazione già dell’oggi più che del futuro. E, per ripeterci, un fenomeno importante o lo si governa o ci sovrasterà. Internet ha provocato una rivoluzione: i nuovi spazi sociali, quando accrescono l’appartenenza al consorzio umano, danno voce ai deboli, limitano l’autoritarismo, sono una risorsa; le derive, possono essere nefaste.
Forse è tempo di dettare nuove regole: e di comprendere questo nuovo mondo, prima di dettarle.
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16 Maggio 2021, 09:33