19 Febbraio 2019, 16:06
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PALERMO – Lei non c’entra nulla. Non aveva “cognizione” di cosa stesse accadendo nella sede del Movimento Cinque Stelle quando nel 2012 furono ricopiate in fretta e furia, falsificandole, le firme per le candidature alle elezioni comunali di Palermo. Samanta Busalacchi si difende e contrattacca.
Perché si trova sotto processo? “Un attacco politico per farmi fuori”, dice davanti al giudice Salvatore Flaccovio del Tribunale di Palermo, rispondendo alle domande dei suoi avvocati Mauro Torti e Valentina Castellucci. Quella ricostruita dall’imputata, che accetta di rendere l’esame, è la storia di una faida interna ai grillini. Da una parte i deputati nazionali e dall’altra gli onorevoli del gruppo parlamentare all’Ars. L’attacco politico sarebbe iniziato nell’aprile del 2016 quando prese corpo l’idea che, riferisce Busalacchi, “mi dovevo candidare a sindaco di Palermo, non ero ben vista, mi dicevano che ero il braccio destro di Riccardo Nuti, è l’unica spiegazione che mi sono data anche perché alla fine è successo che non mi sono candidata”.
Per dare forza al suo ragionamento Busalacchi, ex collaboratrice del gruppo parlamentare all’Ars, sottolinea in aula la disparità di trattamento ricevuta rispetto ad altri quando nel 2016 esplose lo scandalo delle firme: “Sono stata travolta e allontanata dal gruppo parlamentare (all’Ars, ndr) che è stato molto duro con me. Mi hanno condannato senza avere il diritto di replica. Mi hanno messo alla porta senza neppure farmi una domanda perché ledevo l’immagine del Movimento. La Rocca e Ciaccio continuarono ad avere un ruolo nel gruppo e oggi lo hanno nel Movimento”.
Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio nel 2016 erano entrambi deputati mentre oggi sono rispettivamente collaboratrice del vice presidente Giancarlo Cancelleri e del deputato questore Salvatore Siragusa. Entrambi sono sotto processo, così come i tre ex deputati nazionali Riccardo Nuti, Claudia Mannino e Giulia Di Vita, gli attivisti Pietro Salvino, Riccardo Ricciardi, Giuseppe Ippolito, Stefano Paradiso, Toni Ferrara e Alice Pantaleone, l’ex esponente del movimento, e l’avvocato Francesco Menallo, il cancelliere del tribunale di Palermo Giovanni Scarpello.
Claudia La Rocca è anche la grande accusatrice. Era stata lei a raccontare al pubblico ministero Claudia Ferrari cosa accadde il pomeriggio del 2 aprile 2012 nel comitato elettorale di via Sampolo. Si accorsero che era stato indicato in maniera errata il luogo di nascita di un candidato: “Giuseppe Ippolito non era nato a Palermo ma a Corleone. Era un errore formale, fu una svista di Samantha Busalacchi. Le firme erano già state raccolte nei banchetti, era un problema rilevante che creò agitazione. Eravamo sprovveduti allora, siccome quelle persone avevano veramente firmato, in maniera superficiale si è pensato di ricopiare le forme. Nessuno penso che potesse essere una cosa così grave anche se sbagliata”.
A sostituire i moduli con le firme ricopiate e dunque false sarebbe stata, secondo l’accusa, anche Samanta Busalacchi che però nega di avere avuto un ruolo nella vicenda. Il legale di La Rocca, l’avvocato Valerio D’Antoni, insiste: “Lei ha detto di essere stata attaccata. Da chi?”. “Non ho le prove altrimenti l’avrei detto”, spiega l’imputata, che però ha un’idea precisa su come sarebbero andate le cose: “C’era uno scontro fra deputati nazionali e regionali, fu un’occasione per farmi fuori”.
Tocca al pubblico ministero Ferrari fare emergere la confusione che regnava, non solo nella sede di via Sampolo al momento della ricopiatura delle firme, ma anche nella fase precedente della raccolta per le strade della città delle firme a sostegno delle liste: “Raccoglievamo le firme nei banchetti. Quando riempivamo i fogli li passavamo all’autenticatore”. “Quindi l’autenticazione avveniva quando le persone erano già andate via? Scusi, allora cosa autenticava?”, la incalza il pm. Busalacchi: “Guardava la situazione”. Si torna in aula il prossimo 5 marzo. Previsto anche l’esame di Riccardo Nuti.
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19 Febbraio 2019, 16:06