Forgione al Festival della Legalità:| “Si attendono ancora troppe verità”

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09 Ottobre 2010, 14:04

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Tra gli ospiti del dibattito “Le mafie in Italia”, svoltosi in occasione della penultima giornata del Festival della legalità,
insieme a Fabior Granata e al giudice Giuseppe Pignatone, anche l’ex presidente della commissione antimafia Francesco Forgione e il giornalista Nino Amadore.
Forgione, nativo di Catanzaro, ha sottolineato come l’Italia non possa ancora definirsi un “Paese pacificato”: “Non solo non è stata fatta piena luce sulle stragi del ’92 – ha detto – ma ancora attendiamo la verità su Portella della Ginestra”. Una certa “miopia” storica, ma non solo, secondo Forgione. Alcune dichiarazioni, infatti, rivelerebbero altri limiti, altre lacune nell’analisi al fenomeno delle mafie in Italia: “Il Prefetto di Milano, qualche mese fa, ha detto che nel capoluogo lombardo la mafia non esiste. Io mi chiedo come possa stare ancora al suo posto”. Secondo Forgione, in particolare, sulla ‘Ndrangheta è sempre esistito un certo “cono d’ombra” dell’informazione: “Nessuno – afferma – racconta la ‘Ndrangheta. Nessuno, ad esempio, dice che il porto di Gioia Tauro è un vero ”porto franco’ attraverso cui passano rifiuti tossici, armi per verie guerre, merci contraffatte”.
La Calabria non viene raccontata. Ma da qualche anno si comincia a infliggere colpi alla criminalità. Forgione, così, nel complimentarsi con Giuseppe Pignatone, solleva una velata critica nei confronti di altri magistrati che “preferiscono le passerelle televisive. Bene vengano, invece, i giudici come Pignatone, che lavorano in silenzio raccogliendo prove fondamentali per emettere sentenze chiare”. Ma, se la Calabria, come dice Forgione, è “poco raccontata”, questo si deve anche al clima attorno alla stampa: “In Calabria – ha spiegato – c’è il più alto numero di giornalisti minacciati. Per fortuna, gli inquirenti hanno iniziato a fare vera luce sulla ‘Ndrangheta, che non va vista come una semplice organizzazione di narcotrafficanti, ma come un fenomeno complesso, che coinvolge imprese, professionisti, amministratori”.
Infine, da un calabrese in terra di Sicilia, un’opinione sul ponte sullo Stretto, del quale si parla da tempo: “Prendo a prestito le parole di Nichi Vendola: ‘il ponte non unirà due coste, ma due cosche’. E del resto, la penetrazione della ‘Nadrangheta in Sicilia, nelle province di Messina e Catania, ad esempio, è già iniziata”. E proprio su questo “travaso” di criminalità calabrese nell’Isola, è tornato il giornalista Nino Amadore: “Sono stati provati – ha detto -i rapporti tra le cosche di Barcellone pozzo di Gotto e la ‘Ndrangheta, così come le infiltrazioni nella Procura di Messina”.
Infiltrazioni ed espansioni dovute anche a una precisa “strategia” dei vecchi mafiosi calabresi: “I cosiddetti ‘buzzurri’ – ha concluso Amadore – hanno deciso di mandare i figli all’Università, di farli studiare. Così, ora molti di loro ricoprono ruoli chiave nelle professioni e a livello dirigenziale”.

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09 Ottobre 2010, 14:04

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