L’intermediario dei pizzini | Così i mafiosi comunicano in cella

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24 Marzo 2017, 18:59

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PALERMO – Urla per comunicare da celle distanti, mezze frasi durante l’ora d’aria, persino lo scambio di bigliettini. Dall’inchiesta sull’omicidio di Enzo Fragalà si ha la conferma che i detenuti sanno come fare circolare notizie che devono rimanere riservate.

Non tutto viene affidato imprudentemente alle microspie piazzate nelle sale colloqui dove i detenuti incontrano i parenti. Ci sono informazioni che solo la collaborazione di un pentito ha reso note. Il collaboratore in questione è Francesco Chiarello che per un periodo è stato detenuto al carcere Pagliarelli di Palermo assieme alle persone che lui stesso ora accusa di avere partecipato all’omicidio del penalista.

“Arcuri (Francesco Arcuri, ndr) ci mandava dei bigliettini a Totò Ingrassia – ha ricostruito Chiarello – che c’era un lavorante che lavorava al terzo piano sinistro, che questa ragazzo fa parte di Cardillo, non mi ricordo bene il cognome, che si mandavano dei bigliettini”.

Erano i giorni degli arresti della prima inchiesta, quella archiviata. L’imperativo era tenere la bocca chiusa: “Francesco ci diceva di non parlare nelle celle… perché siamo rovinati rischiamo l’ergastolo”. L’inchiesta si chiuse con un nulla di fatto e le scarcerazioni. Gli indagati di allora, però, sono gli stessi di oggi.

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Ecco come Chiarello descrive l’arrivo di Ingrassia e Arcuri in carcere il giorno del primo arresto: “Li hanno portati nel piano dove ero io… terzo piano destro, Scirocco (è il nome di una delle zone del penitenziario), cella numero uno. Ingrassia era al primo piano con Tonino Abbate e lo trasferiscono al terzo piano, cella numero 5 con un calabrese… Gaetano Presti che era alla numero 14 mi butta una voce che avevano portato a Ingrassia che cercava a me perché già sapeva che ero io là”.

La tensione era alta: “Totò era preoccupato perché sembrava che c’erano microspie… dice… ci vediamo domani all’aria… scendiamo all’aria la prima cosa che mi dice… siamo consumati perché spuntò un’intercettazione ru cosu i lignu”. Il coso di legno era il bastone con cui sarebbe stato picchiato a morte Fragalà. Se ne parlava nell’intercettazione che i carabinieri scovarono chiedendo i brogliacci delle conversazioni intercettate dai poliziotti della Squadra mobile. I militari, convinti che il delitto fosse maturato nel contesto criminale del Borgo Vecchio, spulciarono tutte le chiamate utilizzate dai poliziotti per arrivare alla cattura di Gianni Nicchi. E saltò fuori la frase sul “coso di legno”.

L’operazione “bocche cucite” aveva funzionato. Le cimici non registrarono commenti carcerari. Solo il pentimento di Chiarello ha svelato che coloro che rispettarono il il silenzio sarebbero gli stessi che hanno ucciso Fragalà.

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24 Marzo 2017, 18:59

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