“Froci, ruffiani e prostitute” | Racconti di una povera mafia

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11 Marzo 2018, 06:10

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PALERMO – Non aveva “le basi” per stare in Cosa nostra, “non poteva fare parte della famiglia mafiosa”. Così ha detto qualche giorno fa la pentita Monica Vitale parlando di Francesco Chiarello, il collaboratore di giustizia che ha riaperto il caso dell’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà. Prima ancora dello spessore criminale, Chiarello difettava nei principi morali, come se ci fosse moralità fra gli uomini d’onore.

Le parole pronunciate da Vitale al processo per l’assassinio del penalista descrivono una condizione di degrado a cui non ci si abitua. Le strade del rione Borgo Vecchio sono popolate di uomini che, spiega, “facevano i ruffiani con le donne mentre i mariti erano in carcere”, che “facevano pestaggi perché erano grossi e facevano paura”, frequentano taverne malsane e “tirano di cocaina”.

Nel mondo all’incontrario di Cosa nostra il disvalore non risiede nell’appartenenza ad un’associazione criminale, piuttosto – e sarebbe il caso di Chiarello – nel fatto di avere “una sorella separata” , “un parente frocio” o la “madre chiacchierata”. Le conquiste sociali e i diritti individuali non esistono. Si giudica gli altri, mai se stessi. Vitale è stata l’amante di Gaspare Parisi, per un periodo reggente della famiglia mafiosa. Guai, però, a ricordarglielo in aula: “Era una relazione la nostra, non un fidanzamento”.

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Di uomini con cui ha intrattenuto delle relazioni Vitale ne cita altri due. Racconta di un “incontro in albergo”. Per fare cosa? “Vicende personali”, taglia corto. In aula i parenti degli imputati sogghignano e contano sulle dita della mano i numeri delle relazioni sentimentali e dell’infamia. La collaboratrice è collegata in video conferenza da una località protetta per ragioni di sicurezza. Non può ascoltare, né vedere coloro che la stanno giudicando. Forse ne immagina le smorfie sul volto e si affretta a precisare che “Chiarello aveva il vizio della droga e spendeva tutti i soldi. Lo ha aiutato, gli pagavo l’affitto, ma no perché facevo la prostituta perché io al Monte dei pegni guadagnavo anche mille e cinquecento euro al giorno. Una volta Parisi mi ha tolto 1300 euro dalla tasca perché stavo prendendo il vizio della cocaina”.

E qui si apre il capitolo della miseria economica. Non era un lavoro ufficiale quello della pentita. Prima di occuparsi di estorsioni comprava i pegni della povera gente per poi riscattarli. Oppure faceva da intermediario con i titolari dei “Compro oro” nella zona del Borgo. La gente vende di tutto, anche le posate in argento. E fra chi cerca di sbarcare il lunario ci sono pure nomi di persone che dovrebbero ricoprire un ruolo di primo piano nella famiglia mafiosa. Povera mafia, in tutti i sensi.

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11 Marzo 2018, 06:10

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