Cronaca

Gli attimi prima dello sparo: “Neri di m… perché guardate?”

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15 Maggio 2021, 18:32

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CATANIA – “Siete dei pezzi di m…, dei neri di m… tornatevene al vostro paese…. perché guardate sempre al chiosco? Tu non devi guardare assolutamente il chiosco…”. Sarebbe cominciato tutto così. Insulti razzisti nei confronti di un 22enne gambiano e di altri due stranieri che aspettavano l’arrivo dell’autobus. Emergono nuovi particolari della sparatoria avvenuta all’interno del centro d’accoglienza per minori non accompagnati di via Ciccio Manna, nel rione San Giorgio di Catania. Si è svolta stamattina l’udienza di convalida nei confronti di Carlo Torrisi e del figlio Sebastiano, arrestati giovedì notte dalla polizia. L’accusa per il padre è di tentato omicidio aggravato dai motivi di odio razziale, per il figlio invece di detenzione illegale di arma. Il gip Ivana Cardillo ha convalidato l’arresto nei confronti due due indagati, difesi dall’avvocato Eugenio De Luca, e ha emesso – così come chiesto dalla pm Valentina Botti – un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del 49enne e ai domiciliari nei confronti del 29enne. 

Il gambiano, sfuggito alla pallottola di una Beretta calibro 7,65, è ancora incredulo per quanto accaduto. Ai poliziotti ha raccontato di aver accompagnato giovedì pomeriggio, intorno alle 17, due amici alla fermata dell’autobus e di aver atteso con loro l’arrivo. Ad un certo punto ha notato un uomo che non aveva mai visto prima che gli chiedeva di avvicinarsi. Il 22enne e uno dei suoi amici hanno cercato di capire cosa volesse, ma alla richiesta di spiegazioni hanno ricevuto urla e offese a chiaro sfondo discriminatorio. Vedendo l’uomo agitato e con un casco in mano, il gambiano avrebbe cercato di sedare gli animi chiedendo addirittura scusa. La situazione sembrava risolta, ma dopo che i suoi amici sono saliti sul pullman e li ha salutati ha notato un’auto di grossa cilindrata che si avvicinava all’uomo. E il conducente gli consegnava una pistola nera. Spaventato ha iniziato a correre verso il centro d’accoglienza per cercare riparo. Il 49enne lo ha inseguito, gridandogli in dialetto “figghiu di s…, t’ammazzu”. Mentre riusciva a raggiungere le scale il giovane ha sentito lo sparo dietro di sé. 

Una volta arrivata la polizia, i pezzi del puzzle si sono incastrati. Grazie a un preciso input investigativo sono state immediatamente individuate tre persone, i primi due erano i Torrisi, mentre il terzo un semplice testimone. Carlo Torrisi ha telefonato al figlio Sebastiano chiedendogli di portargli la pistola perché aveva avuto una discussione. E così è stato. L’arma – come raccontato dallo stesso indagato ai poliziotti e poi confermato al gip – l’avrebbe trovata per caso un anno fa e avendo deciso di tenerla l’avrebbe nascosta. Alla telefonata del padre l’avrebbe presa e portata in via Ciccio Manna. Dopo che ha visto il genitore sparare ha deciso di riprendere la pistola e riportarla nel luogo dove la custodiva. Luogo che ha indicato ai poliziotti che hanno trovato la Beretta calibro 7,65 e sequestrata. Torrisi senior ha invece deciso di fare scena muta nel corso dell’udienza di convalida. 

Un altro tassello investigativo è stato fornito dall’analisi delle immagini del sistema di videosorveglianza del chiosco, che hanno immortalato la ‘prima fase del litigio tra Torrisi e gli stranieri’. Nei filmati però c’è un buco di 8 minuti: tempo durante il quale si sarebbe dovuta vedere la consegna dell’arma da parte del figlio al padre. Il barista avrebbe involontariamente staccato i cavi. L’hard disk è stato sequestrato al fine di poter estrapolare quanto cancellato. 

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15 Maggio 2021, 18:32

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