Graziano, la moglie e soldi sporchi| ‘Si è arrampicata sugli specchi’

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07 Marzo 2019, 05:15

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PALERMO – Non si può fare finta di essere rimasti all’oscuro di tutto. Non ci si può non rendere conto dello spessore criminale delle persone con cui si è convissuto e con cui si è lavorato, specie se dalle intercettazioni emerge il contrario. Ogni tentativo di difesa diventa “una ciclopica arrampicatura sugli specchi giustificativi dell’ingiustificabile”.

Altro che “doverosi aiuti di una moglie in difficoltà al marito detenuto”. Maria Inserillo, ad esempio, favorendo Francesco Graziano e il suocero, il boss Vincenzo Graziano, ha finito per favorire l’intera Cosa Nostra.

Così c’è scritto nella motivazione della sentenza con cui il Tribunale di Palermo lo scorso settembre ha condannato otto persone, a vario titolo, per riciclaggio, reimpiego di capitali illeciti, peculato e intestazione fittizia di beni. Tutti reati aggravati dall’avere favorito Cosa nostra, seppure davanti al Tribunale del Riesame l’aggravante fosse caduta.

Il processo nasceva delle indagini dei finanzieri che fecero emergere la figura dell’avvocato Marcello Marcatajo, nel frattempo deceduto, un professionista che per anni avrebbe curato gli interessi dei Graziano dell’Acquasanta. Un potentato mafioso che ha segnato la storia della Cosa Nostra palermitana. La pena più alta, 14 anni e due mesi, è arrivata per Francesco Graziano, figlio del capomafia Vincenzo.

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La moglie, Maria Virginia Inserillo, ha avuto un anno e sei mesi. Nel corso del processo ha cercato di giustificarsi. È vero, parlava di soldi da distribuire ai parenti del marito – 27 mila euro -, ma “… essendo quasi tutti i famigliari più o meno arrestati, purtroppo, l’unica fonte di sostegno che si sapeva ovviamente esserci, era quella del lavoro che stava facendo in quel momento mio marito con l’avvocato Marcatajo. Quindi è normale che la famiglia di provenienza di mio marito mi chiedesse se ci fosse la possibilità di poter avere qualcosa per vivere, per campare proprio, per fare la spesa, di questo si trattava”.

Una ricostruzione che il collegio presieduto da Lorenzo Matassa, e composto dai giudici Cristina Russo ed Elisabetta Villa, bolla come “non credibile”. A cominciare dall’ingenuità con cui la donna ha cercato di restituire purezza ai rapporti con il marito. Così disse in aula: “Ho conosciuto come un ragazzo per bene, ma non potrei neanche né ora e né mai pensare che ci fosse dell’altro dietro. Mio marito faceva il suo lavoro. Non ho mai saputo nulla, ma di niente, proprio di niente… non mi interessava. Sapevo che lui stava bene, lavorava, era soddisfatto”. Impossibile pensare che Inserillo “non sapesse quanti e quali attributi di mafiosità si correlassero alla persona del suocero e come egli fosse considerato come punto di riferimento apicale della ferocissima organizzazione criminale denominata Cosa Nostra”.

Stesso ragionamento vale per i professionisti che avrebbero aiutato i Graziano a nascondere e accrescere il patrimonio illecito. La pena più alta, tra i cosiddetti colletti bianchi, è stata decisa per l’ingegnere Francesco Cuccio (5 anni e 6 mesi). Il Tribunale riporta in sentenza la parole da lui pronunciate durante una conversazione con l’avvocato Marcatajo: “… Francesco aveva fatto un accordo con suo padre che io intendo mantenere, questo lo puoi dire… certamente… quando ho avuto cinquemila euro glieli mandiamo… quando ho avuto cinquemila euro gliel’ho mandati tramite Messeri… ora vedo di recuperarvi qualche cosa e ve la faccio avere…”. Cuccio dimostrava di conoscere “la tipologia di operazioni illecite fino a quel momento compiute non per Francesco, ma per il capo storico, Vincenzo, già pluricondannato per mafia”. Da qui l’aggravante mafiosa. E talmente ne era a conoscenza che manifestava le sue paure: “… guarda che ci stanno indagando a tutti… me ne devo scappare”. Praticamente, una confessione.

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07 Marzo 2019, 05:15

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