19 Aprile 2019, 18:24
1 min di lettura
PALERMO – “Vorrei essere morto io”, ripete Moncef Naili. Ed invece è morta la moglie, Elvira Bruno, ed è lui che l’ha uccisa, strangolandola.
È uno dei momenti in cui, almeno apparentemente, l’uomo dimostra di comprendere la gravità delle sue azioni. Nel corso dell’interrogatorio davanti al giudice per le indagini preliminari Fabrizio Molinari, in presenza del suo legale, l’avvocato Antonino Cacioppo, Naili sembra credere alla possibilità di un futuro fuori dal carcere.
In carcere, invece, ci resta. Il gip ha convalidato il fermo e disposto la più rigorosa delle misure cautelari. Il tunisino ha ripercorso con lucidità quanto avvenuto due giorni fa nell’appartamento di via Antonino Pecoraro Lombardo. La carezza sulla spalla della moglie, la reazione della donna che lo ha graffiato al volto e le sue mani strette attorno al collo.
Poi, così racconta, tre minuti di buio. Non ricorda altro. Quando ha visto il corpo senza vita della moglie per terra si è reso conto del suo gesto e ha avvertito la polizia. Naili conferma la tesi del raptus. La supporta con la ricostruzione di una giornata come tante altre iniziata facendo colazione assieme. Nessuno screzio, né quel giorno né prima nonostante avessero deciso di separarsi. È non è vero che lui avesse intenzione di scappare, come invece farebbe pensare lo zainetto con i documenti che teneva pronto in casa. Doveva partire per lavoro. Una partenza non imminente, però.
Nessuna premeditazione, dunque, secondo il tunisino. Ed è uno dei punti che fanno vacillare il suo tentativo di fare credere di essere stato vittima di un raptus di follia. Naili ha strangolato la moglie. L’ha uccisa con impressionante freddezza, dice l’accusa. E resta in carcere.
Pubblicato il
19 Aprile 2019, 18:24