21 Ottobre 2012, 08:36
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PALERMO – “In un Paese civile non c’è bisogno di codici etici. Altrove queste regole sono nella testa di chi fa politica, sono nel dna degli elettori, che evitano di andare a votare gli inquisiti. Da noi, invece, i codici etici rischiano di essere una foglia di fico: ‘Ho il codice etico? Ho fatto tutto quello che dovevo fare’”. L’avvocato generale Ignazio De Francisci, che all’inizio del mese aveva lanciato dal palco del “Festival della Legalità” l’allarme per l’inquinamento della campagna elettorale da parte di Cosa nostra, rilancia il dibattito sugli inquisiti candidati alle Regionali: “In queste settimane – attacca – sento troppo spesso dei distinguo. Sento pronunciare troppo spesso dei ‘ma’ che non tengono conto di un dato di fondo elementare: un inquisito per corruzione o per turbativa d’asta dovrebbe essere escluso dalle competizioni elettorali fino a quando non vengono chiarite le sue pendenze. Per non parlare poi della mafia…”.
A proposito di mafia, qualche giorno fa lei ha parlato di un’intercettazione nella quale due mafiosi parlavano di questa campagna elettorale…
“Ho preso spunto da un’intercettazione ambientale in cui due mafiosi conclamati, di primo livello, diciamo di quelli cattivi cattivi, parlando di un candidato abbastanza noto mettevano le mani avanti: d’ora in poi, affermavano, l’appoggio non verrà dato in base alla simpatia, ma solo in funzione di impegni politici specifici. La discussione, fatta ovviamente in siciliano e per mezze frasi, aveva più o meno questo senso: Cosa nostra, almeno qua a Palermo, è diventata più esigente. Pretende garanzie prima, non dopo il voto”.
Ecco, la domanda che volevo farle è proprio questa: l’atteggiamento di Cosa nostra è cambiato, diceva a Villa Filippina e ribadisce adesso. E quello della politica?
“A quanto pare no, visto che nelle liste ci sono ancora candidati inquisiti. Poi, certo, bisogna vedere per quali reati: un incidente stradale può capitare a tutti e una pendenza che deriva da una vicenda di questo genere non può essere considerata pesante per un politico. La corruzione, la turbativa d’asta, la mafia, invece, sono reati che non possono portare ai distinguo che stiamo sentendo in questi giorni: certo, bisogna valutare caso per caso, ma bisogna essere più netti. A volte sento dire anche ‘i processi durano assai’: beh, allora fatevi parte dirigente del Paese per uscire al più presto da questa situazione, per risolvere il problema dei tempi della giustizia”.
Eppure la lotta alla mafia è stata una delle parole-chiave di questa campagna elettorale, addirittura troppo, secondo qualcuno.
“Nella formazione dell’élite, nel dibattito politico, si parla molto di mafia ma poco di etica, di principi morali, di bene pubblico. Si sentono i bisogni delle categorie, delle lobby, ma non c’è, o almeno non traspare, una visione complessiva, appunto, del bene pubblico”.
L’etica, lo dicevamo prima, è richiamata nei codici ai quali i partiti si affidano e che in buona parte si rifanno al codice Vigna. Il problema forse è questo: non è che i codici sono troppo blandi?
“Guardi, onestamente ho letto il codice etico di un solo partito, l’Udc, perché mi è stato chiesto di leggerlo, quindi non mi addentro in valutazioni generali. I codici, però, sono norme, che vanno comprese, interpretate, applicate…”.
Sì, ma al di là dei codici dei singoli partiti, il problema sembra generale: le norme specifiche, per definizione, non possono coprire tutti i casi. Forse, invece, bisognerebbe separare la responsabilità politica da quella giudiziaria. Insomma: non crede che la valutazione dell’opportunità di una candidatura debba prescindere dalla presunzione di innocenza?
“Sì, il punto è proprio questo: in un Paese civile un codice etico, una carta scritta che dica chi può candidarsi e chi no, non dovrebbe servire. Il punto è che manca un altro codice etico: quello interno alla mente di chi fa politica, di chi dirige i partiti insomma, ma anche a quella di gran parte degli elettori, che non sempre stanno attenti e poi alla fine vanno a votare per l’inquisito”.
Mi viene in mente un caso di qualche mese fa. Non vale la pena di citarlo espressamente, comunque la storia è questa: parlando di un politico finito sotto inchiesta per mafia si è scoperto che alle ultime elezioni aveva raccolto più preferenze personali di quanti consensi avessero ottenuto interi partiti a lui contrapposti. A pensare male quasi sempre ci si azzecca: non è che i partiti cercano personaggi chiacchierati perché in qualche modo possono garantire più voti?
“È vero, spesso il livello di attenzione all’etica e ai principi è inversamente proporzionale al numero di voti. E in effetti questo si riflette anche nella selezione dei candidati: state certi che lo sfigato che finisce sotto indagine per truffa perché prendeva la pensione al posto della nonna morta sarà escluso dalle liste, ma un personaggio non direttamente mafioso, che però ha una vasta rete di clientele e usa i contatti con i mafiosi di quartiere, non sarà escluso. Questo personaggio, alla fine, prenderà un numero di voti tre volte superiore a quello di uno ‘pulito’”.
Insomma: male i partiti, malissimo gli elettori.
“Io non me la sento di condannare chi vota gli inquisiti: il voto, spesso, è condizionato dal bisogno e capisco che molta gente ha solo questo modo per ottenere qualcosa, per sperare in un futuro migliore. Il nostro handicap più grosso sta proprio in questo elemento: il voto di opinione non esiste più, o meglio c’è solo una fascia di privilegiati, nella quale mi inserisco anch’io, che continua a esercitarlo”.
Non necessariamente mafia: anche semplici clientele, insomma.
“Lei pensa che tutti quelli che sono stati sistemati da Lombardo non andranno a rivotarlo? Oppure che non lo voterà chi vince i concorsi che in questi giorni fioccano nel mondo della sanità o chi ha ottenuto un contratto di consulenza? Li capisco, non lancio frecce. Ma fino a quando il voto in Sicilia sarà così, resteremo sul fondo del pozzo”.
Sembra il ragionamento di un astensionista. Voterà?
“Andrò a votare, perché ho sempre votato. Come ogni volta, sceglierò il meno peggio. Però sono curioso di vedere qual è la percentuale degli astensionisti: se questa percentuale fosse robusta sarebbe un segnale estremamente rilevante. Significherebbe che la gran parte delle persone non ne può più. E sarebbe persino peggio: significherebbe che a votare ci va solo chi ha bisogno”.
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