I santuari della legalità crollati | e quella religione dura a morire

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24 Marzo 2019, 18:49

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L’ultimo tempio tra i tanti votati alla Dea Legalità profanati dalle cronache giudiziarie si chiama Commissione Antimafia. Che poi è solo l’ultimo santuario della fede incensata da turibolanti aedi finito suo malgrado nelle pagine delle inchieste. È capitato con l’indagine trapanese che ha passato al setaccio le mosse del gruppetto che ruotava attorno a Giovanni Lo Sciuto, gran collettore di voti di Castelvetrano, finito agli arresti. Nella scorsa legislatura l’irrequieto politico (l’attributo è riferito ai suoi spasmodici cambi di partito) sedeva proprio nella commissione Antimafia dell’Ars e lì faceva audizioni, studiava, indagava, votava signore relazioni conoscitive. Nel frattempo, almeno secondo gli inquirenti e a qualche chilata di intercettazioni, trovava il tempo per fare tanto altro. Si interessava molto ad esempio del suo Comune, Castelvetrano, che fu sciolto per mafia con le elezioni che saltarono, facendo sfumare una signora lista che lui e i suoi amici stavano mettendo su pescando tra una loggia e un’altra. Questo mentre la suddetta Antimafia indagava sulle infiltrazioni negli enti locali siciliani, un’indagine coi fiocchi. Ma tant’è. Prima di lui dalla commissione era passato pure Raffaele Nicotra, a cui adesso tocca difendersi dall’accusa di concorso esterno in mafia. Succede. Ma diciamolo, ormai non impressiona neanche più.

No, quasi niente ormai fa impressione dopo che tutti o quasi i santuari della religione antimafiosa e legalitaria sono finiti in malora e spogliati dagli orpelli variopinti che negli anni si sono affollati sui loro prospetti. Dentro il tempio, intanto, le bancarelle dei mercanti proliferavano. Gruppi e gruppetti di ogni sorta, le più variegate consorterie, alcune celate dietro nobili o per lo meno riconoscibili etichette, altre ancora più oscure e sfuggenti. Tutte però capaci di trovare un efficace varco per accomodarsi nelle istituzioni, nella bistrattata e sputtanata politica ma forse anche nella osannata, riverita e venerata magistratura, per gestire un po’ d’affari e di potere. Da Trapani a Caltanissetta, da Palermo a Siracusa, le storie di conventicole in grado di penetrare i santuari della religione laica sono ormai così tante e per certi versi così simili, che tutto sembra tenersi in un’unica sceneggiatura scritta da mani sapienti. E non è il tema delle responsabilità penali che qui interessa, perché quelle si valutano nei processi, e dal caso Saguto al sistema Montante, ci sarà tempo per arrivare a sentenze. Senza aspettare quelle, però, quando si approfondiscono vicende come quelle siracusane che ruotavano attorno a processi e sentenze o come la storia di Lo Sciuto (che doveva fare, disse, “da sentinella” in Antimafia per la sua provincia) and friends, non c’è bisogno di aspettare la Cassazione almeno per percepire le siderali distanze tra le liturgie della sacra religione legalitaria e antimafiosa e dei suoi templi e la cruda verità di quello che non si vede dietro l’apparenza della liturgia medesima.

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Certo, la religione è dura a morire. I puri autoproclamati faranno da sé nel separare il grano dal loglio, rammentandoci che loro sì, sono diversi, per non perdere l’aura mistica faticosamente guadagnata nella chiesa antimafiosa. La retorica della sacralità di questo o quel tempio continuerà, la leggenda della supremazia della comitiva frequentate il tempio magari pure. Ma con sempre più fatica e probabilmente con sempre più pernacchie al seguito. Fin quando forse sorgerà il sole sul giorno in cui al signor Tizio, Caio o Mevio, toccherà parlare senza la coccarda della parrocchietta appuntata al petto e dovrà essere giudicato (e non del giudizio dei tribunali qui si parla) per quello che è e per quello che fa, non per la chiesa a cui proclama di appartenere. Da anni qui attendiamo fiduciosi quel giorno.

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24 Marzo 2019, 18:49

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