I segreti del maresciallo Guazzelli |e la mancata elezione di Andreotti

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20 Giugno 2012, 19:57

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Il 4 aprile del 1992 il maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli viene assassinato a colpi di mitra nei pressi di Agrigento. Un agguato che rimane ancora oggi poco chiaro. Per i magistrati che indagano sulla trattativa tra pezzi delle istituzioni e Cosa Nostra, Guazzelli avrebbe raccolto diverse confidenze da parte di Calogero Mannino, diventando, nell’ultimo periodo di vita, addirittura il trait d’union tra il ministro democristiano e il capo del Ros Antonio Subranni. L’obiettivo sarebbe stato quello di “aprire” un contatto con Cosa nostra. È per questo che la sua eliminazione viene considerata un segnale della mafia nei confronti di Mannino. Non sarà Mannino, però, l’obbiettivo successivo dei corleonesi.

Il 23 maggio, da una collinetta nei pressi di Capaci, il boss Giovanni Brusca schiaccia il telecomando che fa deflagrare 500 chili di tritolo, nascosti sotto l’autostrada. Obiettivo del maxi attentato è il giudice Giovanni Falcone, che proprio in quell’istante sta percorrendo l’autostrada con la scorta. Nell’esplosione muore anche Francesca Morvillo, la moglie del giudice che aveva dichiarato guerra a Cosa Nostra, oltre a tre uomini della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

Due giorni dopo, in un’Italia dilaniata dal dolore, salta a sorpresa l’elezione di Giulio Andreotti a presidente della Repubblica, considerata nei mesi precedenti quasi “naturale”. Al suo posto le camere riunite eleggono, dopo varie votazioni, il democristiano Oscar Luigi Scalfaro. Ai funerali di Falcone, della moglie e della scorte, le più alte cariche politiche vengono prese a sputi e spintoni dalla folla inferocita, che in lacrime grida: “Andatevene da Palermo, siete voi la mafia”. Lo Stato è in ginocchio.

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È forse per questo che, pochi giorni dopo, il ministro dell’Interno Vincenzo Scotti candida pubblicamente Paolo Borsellino a capo della super procura antimafia, ideata da Falcone. Borsellino non la prende bene: “Hanno messo l’osso davanti ai cani” dice al tenente Carmelo Canale. “E Borsellino satò” avrebbe esclamato il boss Piddu Madonia guardando l’intervista di Scotti in televisione.

La storia prende una piega nettamente diversa quando, il 30 maggio 1992, l’allora capitano del Ros Giuseppe De Donno incontra Massimo Ciancimino in aereo. De Donno vede Ciancimino Junior già all’aeroporto e chiede alla hostess di sedere accanto a lui. La proposta del carabiniere e semplice: incontrare don Vito Ciancimino in via “confidenziale”. Massimo porta il messaggio al padre che convoca subito Bernardo Provenzano. “Va bene facciamo un tentativo – dice il boss – prova a trattare, prova a proporti da mediatore tra Riina, Cinà e i Carabinieri e vediamo cosa succede”. Inizia di fatto la trattativa. L’otto giugno però, il guardasigilli Claudio Martelli, di concerto con Scotti, fa approvare un decreto legge che, tra le altre cose, inasprisce il trattamento carcerario per i detenuti mafiosi.

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20 Giugno 2012, 19:57

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