27 Marzo 2022, 11:57
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C’è un sentimento, più o meno esplicito, più o meno dichiarato, che pare di cogliere in alcune reazioni indignate all’ormai celebre articolo del ‘Corriere della Sera’ sullo stadio di Palermo. Ed è l’offesa. Ma un’offesa di tipo speciale. Come se ci fosse un riflesso del tipo: beh, faremo anche schifo, in genere, però solo noi palermitani possiamo dirlo di Palermo e delle sue cose. Gli altri non devono permettersi.
E forse è utile parlare di questo, più che di una cronaca che, in qualche passaggio, è apparsa eccessiva. Ci viene in mente: se l’Italia si fosse qualificata allora il ‘Barbera’ non sarebbe più stato l’emblema di un movimento calcistico alla canna del gas? Un discorso complessivo che vale la pena di affrontare, superando la fattispecie.
Dunque, perché? Perché noi possiamo lamentarci dello stadio – succede – quando andiamo allo stadio? Perché noi possiamo indignarci per l’osceno spettacolo delle bare accatastate al cimitero dei Rotoli? Perché soltanto noi possiamo alzare gli occhi al cielo e dire: basta! Non si può vivere a Palermo!, mentre, se gli stessi addebiti li rivolge un forestiero, gridiamo all’ingerenza e al complotto?
E’ un riflesso antico che, in più occasioni, abbiamo riscontrato. Noi stessi crediamo di essere la misura di tutto, il principio e la fine, gli unici legittimati a pronunciare un giudizio tremendo e definitivo, purché sia roba nostra. Se accade che altri lo esprimano, esibiamo uno strappo all’onore offeso che provoca sedimenti di rancore. Per cui è sufficiente un articolo di giornale per farci percepire come straniere e irricevibili le nostre stesse parole di tutti i giorni.
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27 Marzo 2022, 11:57