25 Marzo 2021, 12:28
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PALERMO – Non è una semplice partita di calcio. Lo sport per loro non ha alcuna importanza. Per i mafiosi di Borgo Vecchio e i capi ultrà lo stadio è un luogo di guerriglia e vendette. E molti neppure pagano per entrare.
Tra gli indagati dell’inchiesta sfociata nel blitz della notte c’è anche Jhonny Giordano, storico fondatore delle “Brigate rosanero”. La Procura di Palermo voleva arrestarlo, ma il giudice per le indagini preliminari Filippo Serio ha respinto la richiesta, non ritenendo che ci fossero tutte le prove necessarie. Lo inquadra come un soggetto contiguo ad alcuni mafiosi, a cui si è rivolto per dirimere controversie varie, ma non ha contribuito a rafforzare il potere di Cosa Nostra. Giordano resta indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Tra club storici e scissioni l’attuale distinzione della tifoseria prevede due gruppi: Curva Nord 12 Palermo (che riunisce i Warriors – il fondatore è stato Sesto Terrazzini – e i ‘dissidenti’ della curva nord inferiore) e “Ultras Palermo 1900” (sempre in curva nord superiore). Nella parte inferiore della Nord sono rimasti i gruppi Ultrà Curva Nord Inferiore e Borgo Vecchio Sisma.
Il capo del gruppo maggioritario, Curva Nord 12, è Rosario Fabrizio Lupo, coadiuvato da Saverio Bevilacqua, entrambi sottoposti in passato a Daspo.
Lupo, con un lungo trascorso all’interno del Borgo Vecchio Sisma, è entrato in contrasto con personaggi carismatici come Pasquale Minardi, Vincenzo Campisi e Giuseppe Saiola. Così ha deciso di trasferirsi dalla Nord inferiore all’anello superiore.
Il capo del gruppo Ultras Palermo 1900 è Giordano. Per un periodo è stato assunto come custode nel Palermo targato Zamparini. Dopo il fallimento della vecchia società, Giordano, che ha alcuni precedenti penali, ha perso il posto di lavoro ed è tornato in curva. Un anno e mezzo fa ha provato, senza successo, a farsi assumere come factotum della nuova società.
Già in passato era emerso il ruolo di Cosa Nostra come garante degli equilibri tra le tifoserie all’interno dello stadio Barbera che ricade fra i mandamenti mafiosi di Resuttana e San Lorenzo-Tommaso Natale.
Di recente un ruolo chiave spettava a Jari Massilinao Ingarao, figlio di Nicola, ex reggente del mandamento di Porta Nuova assassinato dai Lo Piccolo, e nipote di Angelo Monti, indicato al vertice della famiglia mafiosa del Borgo Vecchio. Sono entrambi detenuti da mesi.
Ingarao non gradiva scontri fra i tifosi: “… queste cose non devono esistere perché qua si sta arrivando al punto che la curva va a restare vacante”. E così avrebbe scelto Giorgio Mangano come referente unico per mettere le cose a posto. Così avvenne quando Giordano, Lupo e Bevilacqua arrivarono ai ferri corti.
Giordano è stato monitorato il 29 settembre del 2019 mentre raggiungeva l’abitazione di Ingarao. Si era fatto accompagnare da un tale Mimmo, non meglio identificato. Ed è stato proprio Mimmo a prendere la parola: “Ma tu lo conosci a questo Saverio Lupo?… quello Saverio… quello che gli hai dato la testata allo stadio… ci si è litigato Johnny… ha avuto una discussione… glielo volevo dire a tuo zio… (Angelo Monti”).
“… non c’è bisogno Mimmo – rispondeva Ingarao – possiamo fare pure a livello che lo mando a chiamare io… lo sai che tu Johnny non ti puoi permettere… pigli e gliene do due di bella e bella… già le ha prese da me… allo stadio”.
Ingarao si allontanò da casa giusto il tempo di riferire della visita di Giordano allo zio Monti che tagliò corto: “Io non gli voglio parlare, gli dici: io non l’ho visto a mio zio… già che gli do confidenza”.
All’indomani ci fu un nuovo incontro. Stavolta ad accompagnare Giordano a casa Ingarao c’era Mangano. Quest’ultimo aveva convocato Lupo e Bevilacqua. Ingarao non aveva gradito il suo approccio morbido: “Gli dici: si deve fare come dico io’. Te la devi sbrigare tu. Come ha detto quello ai tempi”. Era stato dunque autorizzato da qualcuno che gerarchicamente si posizionerebbe sopra lo stesso Ingarao. Quindi Mangano chiamava Lupo e passava il telefono a Ingarao: : … queste cose non devono esistere”.
Non furono gli unici dissidi. Alcuni membri del gruppo Ultras Palermo 900 di Giordano erano andati in trasferta per seguire il Palermo impegnato a Nola nello scorso campionato. Il pullman fu bloccato dai tifosi avversari che strapparono sciarpe e magliette a quelli del Palermo, bottino di una guerra folle da esibire durante la partita.
Al rientro a Palermo, Lupo e Bevilacqua pretendevano che Giordano organizzasse una vendetta esemplare contro i tifosi del Nola. “Ma tutto questo rumore dice perché per una magliettina strappata”, minimizzava Giiordano. Che pensò a un metodo indolore per “chiudere il discorso”: fare circolare la voce che Giordano avesse picchiato un tifoso, indicato come il capro espiatorio per fatti di Nola.
Quindi fu organizzato un incontro alla presenza di Giovanni Giammona, indicato come “affiliato” alla famiglia di Porta Nuova, e Luigi Gardina, il cognato del boss Gianni Nicchi. In vista dell’appuntamento Giordano chiamò Sesto Terrazzini: “Lo sai che c’ho problemi con Fabrizio.. e mi ha detto dice Fabrizio… vuole pure a Sesto e a Fabiuccio… ora dice Giorgio chiama dice alle quattro e li fai venire al bar da me alla… al papireto dice… anche a Fabio e a Sesto… va bene…”.
Al termine dell’incontro, dopo che Giordano ammise le sue colpe, fu deciso che il tifoso “colpevole” di non avere difeso l’onore dei tifosi facendosi strappare via la maglietta non era gradito allo stadio.
Il 17 novembre 2019 a Palmi (Reggio Calabria), si giocò la partita del campionato di serie D fra Palmese e Palermo. Durante l’intervallo scoppiò il finimondo nel settore dei tifosi rosanero. Se le diedero si santa ragione. Il bilancio fu di diversi feriti.
Le intercettazione hanno consentito di fare risalire la causa della rissa ai contrasti fra Lupo e Bevillcaqua da una parte e Minardi dall’altra. Fu il gruppo di quest’ultimo ad avere la meglio nella rissa a Palmi, dalla quale era rimasto fuori il gruppo di Giordano. Che però sperava nella lotta intestina per riguadagnare la posizione di leader che aveva ceduto mal volentieri a Lupo.
In questo caso però i mafiosi avrebbero scelto di non intervenire. Lo si intuirebbe dalla conversazione fra Giorgio Mangano e Gioacchino Pispicia, figlio di Salvatore, mafioso di Porta Nuova: “Facciamoci i fatti nostri”.
La rissa di Palmi rischiò di innescare nuovi scontri. Alcuni tifosi del gruppo Ultras Curva Nord 12, rientrati a Palermo dopo la trasferta calabrese, progettavano spedizioni punitive a Borgo Vecchio. Gaetano Dainotti, detto barabba, tifoso della Curva Nord 12 e nipote del boss Giuseppe Dainotti, assassinato nel 2017, ne parlava con un altro tifoso Giuseppe Di Michele, che sollecitava un intervento duro: “… e che dobbiamo fare? Ci dobbiamo scendere non ci dobbiamo scendere? Io ho già tutto qua… i dolcini tutti dentro i souvenir dentro la macchina, pronti pronti”. Di cosa parlavano?
Lupo e Bevilacqua radunarono 90 persone in piazzale Giotto sfidando i tifosi del gruppo Minardi che, però, non si presentarono all’appuntamento. Un altro tifoso, Pietro Schillaci, era fra gli interventisti più duri: “Saverio non siamo noi, voi non mi ascoltate, non mi ascoltate più voi cazzo, non mi fare incazzare, non mi fare impazzire, non mi sentite tu e Fabrizio vi sentite… non comandate voi Palermo? Ora prenditi questo… devi prendere posizione, non devono montare più… non devono montare più, sei d’accordo… sei d’accordo? Ti devi fare 20 anni di carcere sei d’accordo? non li devi fare montare più ci dobbiamo ammazzare con tutti”. Per fortuna il gruppo di Minardi non si presentò.
Lo scontro fu solo rinviato in piazza Castelnuovo il 19 novembre. I militanti della Curva Nord 12 si presentarono in attesa dei tifosi della Curva Nord Inferiore che, addirittura, andarono sul posto armati. “Stanno acchianannu e sunnu puru armati”, dicevano Lupo e Bevilacqua.
A quel punto furono allertati il questore e il prefetto. La presenza dei poliziotti evitò il peggio. La vendetta era solo rinviata alla successiva partita casalinga dei rosanero con il Messina. Solo che nel frattempo intervennero “i cristiani”, e cioè i mafiosi, a bloccare tutto e imporre la pace. L’8 dicembre alla successiva partita contro l’Acireale, come mai avvenuto negli ultimi tempi, la curva nord superiore e quella inferiore erano compatti.
“Nell’ambito delle indagini sono emerse chiare circostanze per le quali si può affermare che Giorgio Mangano, grazie al suo ruolo mafioso, ha sistematicamente usufruito di ingressi gratuiti allo stadio per sé e per un numero considerevole di persone a lui vicine”. Così inizia il capitolo che riguarda gli ingressi allo stadio Barbera. Anche per Mangano è stata respinta la richiesta di arresto per concorso esterno in associazione mafiosa.
Il suo canale per ottenere biglietti, accrediti e ingressi gratis era Jhonny Giordano che avrebbe sfruttato le amicizie con alcuni dipendenti della nuova società rosanero e con l’impresa che gestisce il servizio stewart.
“Allora per come l’altra volta tutti e venti a mano ritira va bene?”, diceva Giordano certo della riposta positiva. Altre volte le persone ‘raccomandate’ da Mangano, fra cui anche dei pregiudicati per mafia come Rubens D’Agostino, venivano invitate a recarsi “da quello dei panini”, per poi oltrepassare la prima “barriera” grazie ad una persona robusta identificato come “u pacchiunieddu”, al quale riferivano di essere “il cugino di Giorgio”.
Passato il primo ostacolo, giunti al tornello, l’ingresso veniva “facilitato” da un”ragazzo, quello grosso con la radio”. Si parla anche di decine di persone ad ogni partita, intere famiglie che non sono state bloccate ai tornelli. Una volta a stoppare Mangano ci pensò un carabiniere.
Infine agli atti dell’inchiesta c’è il tentato di Giordano di essere riassunto all’interno della nuova società che gestisce il Palermo. Per riuscirci si era rivolto Giuseppe Bellino, uomo d’onore del mandamento palermitano di Pagliarelli, vicinissimo al gruppo capeggiato da Gianni Nicchi, figlioccio del capomafia Nino Rotolo.
Giordano voleva che Bellino, tramite qualcuno non identificato, caldeggiasse la questione direttamente al presidente Dario Mirri e all’amministratore delegato Rinaldo Sagramola. “…. ho avuto una chiamata, ho avuto la chiamata per te”, diceva Bellino. Ad oggi sono state solo parole. Giordano non ha nulla a che fare con il nuovo Palermo.
Giordano tramite il suo legale, l’avvocato Giovanni Castronovo, replica: ‘Apprendo con stupore la notizia giornalistica di essere indagato per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Al momento non conosco la portata delle accuse che mi vengono elevate, se non attraverso i mass-media, non avendo ricevuto la notifica di alcun provvedimento
giudiziario.
Nell’attesa, al fine di poter essere adeguatamente tutelato e seguito nell’ambito della vicenda in oggetto, ho provveduto a nominare quale mio difensore di fiducia l’avvocato Giovanni Castronovo, del foro di Palermo.
Fiducioso nell’operato della Magistratura, e con animo sereno, consapevole della mia assoluta estraneità rispetto ai fatti contestatimi, dopo aver letto gli atti giudiziari, sarò disponibile a fornire il mio contributo agli Inquirenti al fine di poter consentire di accertare in tempi brevi la verità”.
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25 Marzo 2021, 12:28