21 Aprile 2010, 12:20
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“Già allora – dice Di Miceli – il ministro degli Interni definì l’anonimo un depistaggio ad opera della mafia. L’anonimo si ispirava ad una relazione che un avvocato palermitano fece avere all’alto commissario antimafia Domenico Sica. Si diceva che ero amico di Totò Riina e dei mafiosi. Sica non indaga subito, e dopo un anno e mezzo viene fuori l’anonimo”. Di Miceli, in quell’occasione, presentò una denuncia: “È singolare che sia stata trasmessa da Palermo a Caltanissetta dopo che risultavano largamente scaduti i termini per la prescrizione senza che fosse stato compiuto alcun atto istruttorio al riguardo”, attacca adesso.
Sugli affari legati all’inchiesta sulla Protezione civile, invece, il professionista palermitano sostiene di essersi comportato correttamente: “Riccardo Fusi – afferma – doveva fare un ospedale a Bagdad che poteva essere finanziato. Si tratta di finanziamenti europei a cui tutti, qualunque cittadino può accedere. Ed è mio dovere professionale attivarmi con rapporti che erano e sono leciti”. L’affare, però, è saltato: “Si è bloccato tutto – prosegue Di Miceli -. Ho bloccato io tutto. Anche Bruxelles vuole vederci chiaro. C’è un consorzio a Bagdad, di cui fanno parte l’Impregilo ed altre imprese, che spera di accedere a dei fondi pubblici con trattativa privata. Perché non indagano su quello?”. A Di Miceli, del resto, non è andato giù che la sua vicenda sia finita sui giornali: “Il magistrato – accusa – ha fatto una grave mancanza. Se le mie intercettazioni non sono penalmente rilevanti dovevano essere distrutte. Ed invece sono finite sui giornali. Faremo tutte le azioni legali necessarie. È stata violata la riservatezza”.
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21 Aprile 2010, 12:20