Catania

Il coraggio dell’avvocato Famà: un vuoto (incolmabile) da 25 anni

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09 Novembre 2020, 22:11

3 min di lettura

CATANIA – “La verità è che per me il 9 novembre è ogni giorno da 25 anni, ma oggi lo è di più. Ciao papà, manchi. Ma ci sei, sempre. Ogni giorno”. Le parole di Flavia Famà toccano il cuore. Perché rappresentano il dolore di una figlia a cui è stato strappato un padre dalla mano vigliacca e assassina della mafia.

25 anni senza l’avvocato Famà

L’avvocato Serafino Famà è stato freddato al termine di una giornata di lavoro. Era appena uscito dal suo studio legale insieme al collega Michele Ragonese, che ha visto il suo mastro sul selciato. E forse da quel giorno la vita di quel penalista non è stata più la stessa.

Serafino Famà amava la toga, amava la giustizia, amava il giusto processo. L’avvocatura, 25 anni fa, ha perso “il migliore”. In molti lo hanno detto in quei giorni di dolore, in tanti lo ripetono ogni 9 novembre. “L’esempio che non è possibile superare! La montagna che non è possibile scalare! Il cielo oltre il quale non è possibile volare!!!”, scrive l’avvocato Salvo Pace. 

Fiori al Palazzo di Giustizia


Quest’anno la pandemia non ha permesso di celebrare i 25 anni della sua scomparsa con una celebrazione di massa. Ma la Camera Penale ha voluto dedicare due momenti alla memoria dell’avvocato Famà: uno nel luogo del suo barbaro assassinio al piazzale Sanzio e un altro al Tribunale di Catania. Due mazzi di fiori sono stati depositati sotto la targa commemorativa che è da tempo realizzata al Palazzo di Giustizia. Un piccolo gesto per non dimenticare cosa Serafino Famà ha rappresentato e rappresenta ancora oggi nel mondo della giustizia. 

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Famà, l’avvocato coraggioso

Commovente il ricordo del presidente della Camera Penale, l’avvocato Turi Liotta. Nel suo lungo comunicato (LEGGI) il penalista rimarca il coraggio di Serafino Famà riportandolo alla drammatica attualità che ha investito il mondo con l’emergenza Covid-19. “Oggi gli avvocati, e non solo di Catania, sono chiamati ad essere coraggiosi per affrontare un nemico subdolo, infido, che ti prende alle spalle senza farsi individuare: il contagio da coronavirus.

E’ chiaro che i penalisti chiedono a chi deve disporre – scrive Liotta – che siano adottate norme di sicurezza per limitare, nel possibile, il pericolo del contagio di chi, per lavoro e missione professionale, deve frequentare aule e uffici giudiziari, carceri e studi professionali. Agli avvocati è chiesto coraggio e prudenza: coraggio per essere vicini, come faceva Serafino Famà, alle esigenze di chi “deve” essere difeso, colpevole o innocente imputato o persona offesa che sia, prudenza per cura di affetti vicini e per la propria salute e quella di chi si incontra”.

Il tribunale oltre le nuvole

Struggente poi il post dell’avvocato Goffredo D’Antona. Serafino Famà è stato la sua guida. “Quando la barbaria mafiosa uccise l’avvocato Famà il 9 novembre del 1995 il mio mastro aveva la mia età oggi. I suoi figli Fabrizio e Flavia erano quasi ancora dei bambini. Flavia era più piccola di mia figlia oggi. Penso a quante volte avranno voluto essere sfiorati da quella barba di Caracalla, abbracciare quel corpo di Cuccureddu. Penso a quante stanze vuote si sono costruite nel loro cuore.

Penso a mille altre cose, penso alla sua sposa Vittoria, penso al suo primo compagno di rutilanti udienze Enzo Trantino, penso al suo più vero erede Turi Caruso, penso a Nino Grippaldi e a (zia) Stella Rao, e immagino questi ultimi due con lui guardare tutti noi dal grande Tribunale che sta oltre le nuvole che ora baciano il mare. Quel mare dove corrono sempre le lacrime di dolore della rabbia di ciò che non siamo stati”.

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09 Novembre 2020, 22:11

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