16 Febbraio 2021, 17:17
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PALERMO- Le parole di una madre che ha perso un figlio sono speciali e riconoscibili. Si riconoscono, perché portano il peso del dolore più grande che c’è. Sono speciali perché, quel dolore, nel suo ripetersi, ogni volta colpisce al cuore in modo diverso. Il 20 aprile sarà una data importante per Lucia Agnello e per la sua famiglia: al tribunale di Palermo si terrà un’udienza preliminare sulla vicenda di suo figlio Samuele, un ragazzo di ventinove anni, trovato morto in cella al ‘Pagliarelli’.
Samuele Bua soffriva di allucinazioni, manie di persecuzione, aveva una diagnosi di schizofrenia e turbe comportamentali. Si tolse la vita in carcere. Il procuratore aggiunto Ennio Petrigni e il sostituto Renza Cescon hanno chiesto il rinvio a giudizio per omicidio di colposo nei confronti di due medici in servizio nel penitenziario, come qui abbiamo ricostruito. C’è dunque un percorso giuridico che farà la sua strada, ecco le parole di una madre.
“Non so cosa aspettarmi – dice la signora Lucia, che è assistita dall’avvocato Giorgio Bisagna -. Io sono sempre stata scettica sull’ipotesi del suicidio e ho dei dubbi. Voglio sapere che cosa è successo. Non credo che mio figlio si sia tolto la vita, non ci posso credere. Penso che la verità sia lontana e spero che qualcuno, un giorno, possa dire come sono andate le cose. Dove erano quelli che avrebbero dovuto sorvegliare mio figlio? Samuele è stato lasciato solo”.
Non è la prima volta che Lucia Agnello lascia parlare il suo cuore. In una lettera aperta scriveva: “Sono la madre di Samuele Bua, fra qualche giorno, il quattro novembre, saranno due anni che non è più con me. Ancora non ci credo che lui non c’è più, è dura accettare la separazione. Sapere che io sono qui viva e lui è sottoterra è atroce. Per favore, diteci la verità su cosa è successo”.
Il dolore della signora Lucia l’abbiamo conosciuto all’inizio di questa storia. Ogni giorno che passa è una condanna. Una casa dopo una rampa di scale. Un soggiorno. Un tavolo con la foto di Samuele. Intorno, la mamma e due figlie e il racconto di una pena: “In cella aveva rotto un vetro, lanciando un pezzo di caffettiera. Sono andata a trovarlo il più possibile, per quanto era consentito. Era depresso, mi abbracciava, mi baciava e piangeva. Il 21 settembre l’ho trovato molto agitato. Si lamentava, faceva discorsi strani, ripeteva che voleva morire e che aveva una lametta nella scarpa. Io quella lametta, per la verità, non l’ho vista, ma ho avvertito subito gli agenti. Chi c’era si è messo in azione per controllarlo. Samuele era in isolamento. Lui non voleva starci con gli altri detenuti, si sentiva deriso e non capito. Per qualche settimana non ha voluto neanche incontrarci”. Lucia non ha mai smesso di proteggere quel figlio che raccontano sensibile e complicato. Cos’altro potrebbe fare una madre?
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16 Febbraio 2021, 17:17