Il latitante Giovanni Motisi è morto? Verifiche in Colombia - Live Sicilia

Il latitante Motisi è morto? Verifiche in una clinica in Colombia

Il padrino in fuga dal 1998

PALERMO – Sono solo indiscrezioni, sono in corso le verifiche. L’ambasciata italiana a Bogotà sta facendo accertamenti sulla eventuale morte in una clinica di Cali del boss Giovanni Motisi, inserito nella lista dei latitanti più pericolosi. La Procura di Palermo ha allertato i poliziotti del Servizio centrale operativo che sono molto cauti.

La notizia lanciata dal sito del settimanale “Gente” al momento non troverebbe conferme, ma bisogna andare fino in fondo. Motisi, 66, detto “U Pacchiuni”, è stato un sicario di Totò Riina. La Procura ha sentito il fotoreporter sardo Antonello Zappadu il quale sostiene nell’articolo a sua firma di avere appreso da un mediatore che il boss sarebbe morto in una clinica in Colombia.

Zappadu avrebbe dovuto intervistarlo. L’incontro si doveva tenere a Istanbul dove Motisi sarebbe arrivato passando dal Brasile e dalla Turchia. Infine era previsto che il latitante si consegnasse in Italia per via delle sue condizioni di salute. Tutto sarebbe saltato perché il boss si è aggravato. Motisi potrebbe avere usato un falso nome per il ricovero in clinica.

Del capomafia di Pagliarelli in fuga dal 1998, qualche tempo fa la polizia ha diffuso un nuovo identikit (foto in basso) realizzato con il metodo della “Age progressione”.

Motisi latitante

Chi indaga fino ad oggi ha sempre detto che Motisi è vivo, anche se qualcuno negli anni scorsi ha messo in giro la voce che fosse morto. Si trova in Italia o all’estero? Ora la notizia, tutta da verificare, del decesso a Cali dell’ultimo padrino latitante che nel 1985 era fra i killer che uccisero il vice questore Ninni Cassarà e l’agente Roberto Antiochia.

Le indagini e la villa a Casteldaccia

Passando ai raggi X la vita di un altro boss, Giuseppe Calvaruso, i carabinieri arrivarono alle ultime notizie, certe, sulla presenza in Sicilia di Motisi. Il 16 ottobre 2007 i militari fecero irruzione in una villa a Casteldaccia e scoprirono che lì, nell’ottobre 1999, Motisi aveva festeggiato il compleanno della figlia. Trovarono pure delle fotografie.

Per evitare l’identificazione della casa alle pareti erano stati appesi dei lenzuoli in modo da coprire ogni cosa. Gli investigatori, però, notarono un particolare degli infissi della veranda. Dal dettaglio, apparentemente insignificante, risalirono all’immobile. Ormai era troppo tardi.

La villetta è stato uno dei covi del latitante, assieme a un appartamento in via Enrico Toti, poco distante dall’Università di Palermo. Motisi vi ha soggiornato senza dare nell’occhio. Le tapparelle non erano tate alzate di un solo millimetro. Anche qui i militari sono arrivati troppo tardi.

Nel 2007 Gianni Nicchi, ‘u picciutteddu, il ragazzo diventato capomafia a Pagliarelli, il regno di Motisi, prima di finire in carcere, aveva dato mandato a qualcuno di trovargli un collegamento con il latitante. Lo voleva al suo fianco per contrastare Salvatore e Sandro Lo Piccolo, i signori di San Lorenzo.

La destituzione da capo

Il collaboratore di giustizia Angelo Casano, che per un periodo è stato subalterno di Motisi, ha raccontato che nel 2002 il boss fu destituito dalla reggenza di Pagliarelli. Al suo posto tornò Nino Rotolo, trasferito ai domiciliari per motivi di salute e ora di nuovo al 41 bis: “Motisi aveva una gestione molto strana del mandamento. Non si faceva mai vedere, non dava mai risposte. Rotolo mandò a chiamare Motisi per avere spiegazioni”.

Casano sapeva pure che Motisi accettò la destituzione per occuparsi solo ed esclusivamente della latitanza, e venne accompagnato dalle parti di Agrigento dove si sarebbe nascosto nel 2004. Qui nasceva una pista francese. Nell’Agrigentino, fino al suo recente arresto, dettava legge Giuseppe Falsone. Tra Falsone e i mafiosi di Pagliarelli è sempre corso buon sangue. Falsone lo hanno arrestato a Marsiglia. In terra francese.

All’inizio degli anni Duemila la moglie di Motisi chiese di potersi rifare una vita. Inizialmente, era arrivato un no. Poi, Rotolo ci ripensò. “Se un domani dovesse venire qualcuno mandato da Giovanni (Motisi ndr), cerca me e io so cosa gli devo dire – così diceva senza sapere di essere intercettato – questo te lo posso promettere: bello mio, tu te ne sei andato e non ti sei preoccupato”.

Il 20 giugno 2017 Gaetano Scotto, mafioso dell’Arenella, parlava con il nipote: “… mi manda sempre i saluti di Alessio, di Messina Denaro, questo che non c’è più, questo che è latitante. Dice: a me ci sono persone che mi parlano sempre di te… parla sempre di te… il mio idolo dice… ieri l’ho visto mi è venuto a cercare”.

Alessio è il nome che Messina Denaro usava per firmare la corrispondenza con Bernardo Provenzano. Valeva per Nicchi e valeva per Getano Scotto: se è vero che hanno cercato Motisi, non si cerca qualcuno che si crede morto.

Il soldato di Porta Nuova e collaboratore di giustizia, Alessio Puccio, sul conto di Giuseppe Auteri, boss che è rimasto latitante un anno e mezzo, spiegò di avere saputo che era “impegnato in una cosa molto importante”. Giuseppe Incontrera (assassinato alla Zisa) “non mi ha specificato di cosa si trattava… non ho chiesto più informazioni perché non si può. Non bisogna essere troppo curiosi e non si chiede punto, quello che ti dicono lo ascolti ma non chiedi”. Questa “cosa importante” era legata ad un parente di Motisi.


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