Il Papa, Palermo e i simboli | La sfida siciliana di Francesco

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15 Settembre 2018, 06:02

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Due simboli, due uomini, due storie. Una del passato e una del presente. La Palermo di Papa Francesco parte da loro. Dal sorriso mai dimenticato di don Pino Puglisi e dagli occhi limpidi di speranza e carità di Biagio Conte. È la Palermo migliore, quella della solidarietà silenziosa, che idealmente si celebra in questa visita papale, che non a caso arriva nell’anniversario del martirio del prete parroco di Brancaccio, ucciso dalla mafia nel giorno del suo compleanno. A lui Francesco renderà omaggio dopo la tappa a Piazza Armerina. E il ricordo di padre Puglisi sarà l’occasione per la Chiesa per tornare a pronunciare parole nette contro la mafia. Nel solco dell’eco del grido di Giovanni Paolo II alla Valle dei Templi. Erano altri tempi, certo. Un’altra mafia, più fragorosa nella sua furia sanguinaria, più appariscente, più inquietante. L’arcivescovo Corrado Lorefice ha anticipato che Francesco dirà ai mafiosi di convertirsi, proprio come ammonì Wojtyla ad Agrigento.

Per un giorno i giornali al di là dello Stretto dovranno tornare a ricordarsi della mafia. Tema dimenticato, sparito da quel dì dall’agenda della politica e dall’attenzione dei media, se non per le inchieste e i processi di archeologia giudiziaria su trattative, annessi e connessi. Della mafia di oggi, di quella che a Palermo c’è ancora, feroce e avida anche se forse meno forte di allora, a nessuno sembra importare più di tanto. Quella Cosa nostra che ancora fa sentire il suo fiato sulle borgate e che dirotta i suoi appetiti forse anche ben lontano dalla Sicilia, oggi non fa più presa. I vescovi siciliani sul tema hanno scritto una lettera. Ne hanno parlato in settimana, sull’onda dell’attesa papale. In realtà la lettera l’avevano scritta quattro mesi fa ma non se n’era accorto quasi nessuno. La mafia non è più tema à la page. Quanto invece quello dell’accoglienza.

E qui arriva l’altro simbolo: Biagio Conte, con le sue missioni che danno speranza e dignità agli ultimi da tanti anni in questa città. Francesco pranzerà con gli ospiti della Missione, una scelta molto in linea con la comunicazione del suo pontificato, nel segno del Poverello d’Assisi di cui Bergoglio ha preso il nome. La missione Speranza e Carità come simbolo di accoglienza, di apertura a tutti, italiani e migranti, cattolici e non. È la Chiesa che vuole Francesco, il Papa che scelse Lampedusa per il suo primo viaggio apostolico. È la chiesa palermitana, siciliana, italiana? Quello è un altro paio di maniche. Perché oltre al clero, che Francesco incontrerà in Cattedrale, c’è poi il popolo dei fedeli. Il popolo delle parrocchie. Quello in cui secondo i recenti sondaggi dilaga lo sfondamento di Matteo Salvini e delle sue idee su immigrazione e accoglienza. Idee (e toni) che a naso sembrano poco imparentate con la catechesi di Bergoglio. Lo ha detto qualche tempo fa l’arcivescovo di Mazara Domenico Mogavero a Livesicilia: “Sta succedendo qualcosa nell’opinione pubblica italiana e, quello che mi preoccupa di più, nell’opinione pubblica siciliana. I siciliani si stanno omologando a un modo di pensare che non ci appartiene né per cultura né per spessore religioso e spirituale. Il martellamento mediatico gridato ad alta voce da anni, mistificando i dati, sta facendo il suo effetto”. Che poi è un po’ come prendere atto implicitamente che la catechesi dei vescovi ormai non fa più presa.

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Qui in Sicilia hanno parlato in tanti, da Mogavero al cardinale Montenegro, dal vescovo di Noto Staglianò a Lorefice, che in quell’occasione si prese una reprimenda via Twitter da Salvini. E chissà quanti frequentatori delle pie parrocchie panormite quel giorno avranno messo un like all’uscita social del ministro dell’Interno. Perché le bandiere e i viva il Papa riempiranno Palermo in questo lungo giorno di coprifuoco con una città mezza chiusa per ragioni di sicurezza. Ma quanto questa città effettivamente presti orecchio ai moniti del Pontefice e dei suoi episcopi, questa è tutta un’altra storia.

Allora non resta che aggrapparsi ai simboli. Ai vivi, come Biagio Conte, e ai morti da martiri. Come appunto Padre Pino Puglisi o magari Rosario Livatino, per il quale in questi giorni si chiude il processo diocesano di canonizzazione. Provando – è questa la sfida siciliana di Francesco – a risvegliare l’opinione pubblica italiana sulla mafia e a convincere il suo popolo su un’idea di accoglienza e solidarietà che oggi segna il passo anche tra i cattolici.

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15 Settembre 2018, 06:02

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