Il pizzo per lo stipendio di Nino |I retroscena dell'estorsione al Bingo - Live Sicilia

Il pizzo per lo stipendio di Nino |I retroscena dell’estorsione al Bingo

Una fetta di quanto versava la vittima serviva per "garantire" lo stipendio al capo clan detenuto. L'INCHIESTA

 

Il fratello di Nitto Santapaola
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CATANIA – I vecchi gestori del Bingo di Misterbianco “pagavano il pizzo alla famiglia”. E per famiglia si intende “cosa nostra catanese”. L’inchiesta che sabato scorso ha portato l’ordinanza nella cella dello Ziu Ninu, fratello del capomafia Nitto Santapaola, parte da alcune rivelazioni di collaboratori di giustizia, i fratelli Giuseppe e Paolo Mirabile e Carmelo Di Stefano. Le indagini coordinate dal sostituto procuratore della Dda di Catania, Rocco Liguori si sono mosse per verificare le dichiarazioni dei tre ex uomini di vertice del ghota della cosca Santapaola Ercolano, e in particolare del gruppo del Villaggio Sant’Agata. Ed è così che i carabinieri hanno scoperto che per 10 anni, dal 2002 al 2012, i titolari dell’importante attività commerciale sarebbero stati nella morsa delle intimidazioni dell’organizzazione mafiosa. Una somma versata fino al fallimento dell’impresa, che poi è stata rilevata da altri imprenditori che non sono coinvolti in questa indagine. Oltre al prezzo mensile per la “protezione” la cosca avrebbe preteso che la gestione del parcheggio e l’appalto delle pulizie fosse affidato ad alcuni “amici”.

Ad aprire l’estorsione sarebbe stato Giuseppe Mirabile per conto dello zio Antonino Santapaola (secondo nel vertice della cupola di cosa nostra catanese). Il collaboratore di giustizia nei primi anni sarebbe stato anche l’esattore del “pizzo”. Il pagamento sarebbe avvenuto con cadenza mensile: 2500 euro “per la protezione” fino al 2010, dal 2011 invece i 2500 euro sarebbero stati versati ogni 15 giorni, significa che nella cassa del clan finivano 5000 euro ogni mese. Una ricostruzione che ha trovato conferma dai racconti degli imprenditori ascoltati dagli inquirenti nel corso dell’indagine condotta dai carabinieri di Catania. La vittima sarebbe stata una vecchia conoscenza del clan: era stato il barbiere di Alfio Mirabile, il capomafia sfuggito a un agguato nel 2004 ma deceduto a seguito delle ferite riportate.

L’inchiesta ha portato a scoprire come sarebbero stati utilizzati i soldi “incassati” dal pizzo del Bingo. Una parte (2500 euro) sarebbe confluito nella cassa del gruppo criminale, mentre il resto sarebbe servito a “garantire” lo stipendio al capo clan detenuto, Antonino Santapaola. Nonostante il carcere, dunque, il fratello del capomafia Nitto avrebbe continuato a ricevere per anni la sua “fetta” di soldi sporchi ogni mese, anche grazie ai soldi “ottenuti” dagli imprenditori taglieggiati. Denaro che sarebbe servito, inoltre, al mantenimento dei familiari degli “affiliati” detenuti. Oltre ad Antonino Santapaola, le accuse di estorsione aggravata sono per Salvatore Aiasecca, Dario Caruana, Salvatore Fiore, Davide Salvatore Licciardello, Salvatore Mirabella (detto Turi Palocco), Angelo Mirabile (detto Angelo U Poccu), Francesco Petralia. Quest’ultimo avrebbe gestito il parcheggio davanti alla sala Bingo.

Nella riscossione del pizzo dal 2002 al 2010 si sono susseguiti vari esattori, delegati dai vertici del gruppo mafioso. E i capi del “Villaggio” sono cambiati nel corso del decennio contestato nell’ordinanza firmata dal Gip: arresti ma anche omicidi hanno cambiato l’organigramma dei vertici. Quando Antonino Santapaola finisce in manette, a prendere le redini sono diversi affiliati. Tra questi spiccano Raimondo Maugeri (ucciso nel corso della faida con i Cappello Carateddi) e Giuseppe Rizzotto (vittima di lupara bianca). Ad un certo punto la “carta” del pizzo di Monte Po è controllata da Angelo Santapaola, che riscuote le estorsioni con il suo guardaspalle Nicola Sedici. Una presa di forza quella del cugino di Nitto, definito da più pentiti “un cane sciolto”, che non ha avuto il consenso “della famiglia” e che ha portato a ordinare il suo “omicidio”.


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