Il sì all’impianto arriva 10 anni dopo |Ma per l’investimento è troppo tardi

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21 Dicembre 2015, 06:00

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PALERMO – Dieci anni dopo arriva l’autorizzazione. Ma la convenienza dell’investimento, quando dalle prime carte bollate è passato un decennio, non c’è più. È una storia di ordinaria burocrazia quella raccontata da due sentenze del Tar di Palermo che hanno dato ragione alla “Società energie rinnovabili” e alla “Società energie rinnovabili 1”: le richieste, depositate nell’estate del 2006, erano rimaste incastrate nel fuoco incrociato di pareri necessari per produrre energia, e adesso che i giudici amministrativi hanno dato il via libera per realizzare gli impianti è, semplicemente, troppo tardi. “A questo punto – spiega l’avvocato Carlo Comandé, che ha difeso le due aziende con Alessandra Fagotti, Francesco Scanzano e Carola Antonini – non ci sono più gli incentivi, e quindi l’azienda ha subito un gravissimo danno che può mettere in discussione la realizzazione dell’intervento”.
La storia degli impianti sbloccati oggi inizia nel 2006. Le richieste, che riguardano in un caso una struttura da realizzare a cavallo fra San Mauro Castelverde e Castel di Lucio e nell’altro a Castronovo di Sicilia, vengono presentate dalla Api Holding, che ottiene tutti i via libera tranne quello della Sovrintendenza ai beni culturali e ambientali. Nel 2009, per dirimere la controversia interna agli uffici della Regione, viene chiamata a pronunciarsi la giunta, che nega l’autorizzazione. Nel frattempo la Api Holding si stufa e passa la mano a “Società energie rinnovabili” e “Società energie rinnovabili 1”, che acquistano il ramo d’azienda e quindi i progetti.
Inizia la battaglia legale contro lo stop. Un rigetto che, per la prima sezione del Tar, è approssimativo: “Dalla motivazione utilizzata dalla giunta regionale per denegare definitivamente l’autorizzazione richiesta – scrive il collegio presieduto da Nicolò Monteleone, con Roberto Valenti consigliere ed estensore e Maria Cappellano primo refendario – non risulta che sia stata compiuta una approfondita istruttoria sul caso in esame”. Di più: “La giunta regionale – si legge nelle due sentenze (3267 e 3268 del 23 ottobre 2015) – avrebbe dovuto avvalersi del potere conferitole dalla legge quale organo di ultima istanza in chiave semplificatoria esprimendo sia le ragioni per le quali l’intesa non si era raggiunta, specificando esattamente attraverso quali strumenti l’intesa era stata ricercata, per poi approfondire le ragioni strategiche, di vantaggio economico o meno per le popolazioni interessate, di tutela del paesaggio e del territorio, che esitavano nel senso di negare l’accoglimento della richiesta”. Un’analisi che secondo il Tar la giunta non ha fatto. Il risultato? L’annullamento dello stop e la condanna della Regione a pagare le spese legali. Una magra consolazione per un affare – e quindi, di rimando, per un’iniezione di posti di lavoro nella Sicilia boccheggiante – che dieci anni di burocrazia potrebbero avere definitivamente mandato in archivio.

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21 Dicembre 2015, 06:00

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