Il vincolo che sa di libertà | Ma crea i trasformisti

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18 Febbraio 2018, 18:30

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Nel mio precedente articolo “Una legge per i nominati. E l’ombra del voto inutile” ho avvertito: è molto difficile che uno degli schieramenti in campo raggiunga la maggioranza alle politiche del 4 marzo prossimo. Una conferma giunge dall’ultima rilevazione che dimostra come, a due settimane dal voto, nessuna maggioranza sia ragionevolmente all’orizzonte. Il centrodestra si attesterebbe intorno al 35% e il centrosinistra al 27%. Il M5S, da solo primo partito, al 28%. E’ vero che c’è ancora un’alta percentuale di indecisi e che gli infernali meccanismi dello sciagurato Rosatellum lasciano in bilico una settantina di seggi alla Camera e una trentina al Senato ma, fatta salva una remota possibilità per il centrodestra di superare la soglia di 316 seggi alla Camera e di 158 al Senato, la situazione volge verso una pericolosa instabilità e la necessaria composizione di “grandi coalizioni” o, se volete, di grandi inciuci. Ho avuto modo di intervenire, rispondendo agli interrogativi di alcuni gentili lettori, su una questione che si imporrebbe di conseguenza. In buona sostanza, mi è stato chiesto perché l’elettore corre il rischio di ritrovarsi al governo del Paese anche il partito o la coalizione usciti sconfitti dal responso delle urne. Non si dovrebbe tornare subito al voto? Non è così o non è automaticamente così. Una legge elettorale non può modificare la forma di governo del nostro Paese che rimane una repubblica parlamentare. Cosa vuol dire? Vuol dire che i cittadini non eleggono direttamente il presidente della Repubblica o il presidente del Consiglio, non eleggono direttamente il governo. Vuol dire che il Capo dello Stato ha l’obbligo costituzionale di ricercare una maggioranza in Parlamento e a tal fine avvierà delle consultazioni. Non è detto che l’esito di tale attività consultiva conduca a quanto strettamente emerso dai risultati elettorali. Poniamo caso che A sia la coalizione che ha ottenuto più seggi alle Camere, però senza maggioranza. Bene, A può tranquillamente accordarsi con la coalizione avversaria B o B+C e formare un governo. Ipotesi assolutamente legittima nel nostro assetto costituzionale e di cui il Presidente della Repubblica deve prendere atto procedendo all’affidamento dell’incarico di presidente del Consiglio e alla nomina dei ministri (segue la fiducia delle Camere). Esclusivamente nell’ipotesi dell’impossibilità assoluta di raccogliere una maggioranza coesa si dovrebbe tornare al voto, con quale prospettiva rimanendo vigente il medesimo sistema elettorale? Inizierebbe una devastante stagione di incertezza, sul piano della tenuta istituzionale e su quello economico e delle dinamiche dei mercati finanziari. Sia ben chiaro, lo abbiamo già scritto, le coalizioni che si stanno proponendo agli elettori non sono vincolanti, possono sciogliersi un minuto dopo la chiusura dei seggi o non essere più tra di loro alternative (ribaltando la volontà popolare). Perché? La motivazione risiede nell’art. 67 della Costituzione: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Qui, la ragione per la quale le coalizioni possono infischiarsene del voto degli elettori e sciogliersi o accordarsi con le coalizioni avversarie. In sintesi, nel nostro Ordinamento vige il divieto del cosiddetto “mandato imperativo” (oggi in vigore soltanto in India, Bangladesh, Panama e Portogallo). Il parlamentare una volta eletto rappresenta la Nazione nella sua interezza, non il partito d’appartenenza, non i cittadini che lo hanno votato. Cittadini/elettori nei cui confronti non ha alcun obbligo giuridico, nemmeno con riferimento al programma o alle modalità e “luoghi” di presentazione della propria candidatura (singola lista o coalizione). Certamente esiste, o meglio, dovrebbe esistere, un’obbligazione morale e politica nel mantenere gli impegni assunti e la “veste” indossata al momento del giudizio degli elettori, ma è altra cosa rispetto a un obbligo giuridico che non sussiste. L’assenza del vincolo di mandato, che in astratto ha una sua ratio – “svincolare” appunto il deputato o senatore da interessi parziali di gruppi, categorie, corporazioni e/o lobby –  è stata snaturata, pervertita e ha reso molto facile il cambia-casacca, lo svolazzare tra fronti e partiti addirittura contrapposti da parte di moltissimi onorevoli e senatori, lo sappiamo, per convenienze di bassa cucina. Questo il quadro, a noi le opportune riflessioni.

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18 Febbraio 2018, 18:30

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